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Il 6 Dicembre a Zola non si va a scuola, è San Niccolò ed è il patrono, è giorno di festa in paese e le scuole rimangono chiuse, anche quelle nelle frazioni, anche a Riale.
Nel 1990 avevo 9 anni, facevo la quarta elementare ed ero in casa con la nonna, sfruttando quel giorno di vacanza stavo giocando con il Subbuteo, quando squillò il telefono.
“Ciao Papà, come? È caduto un aereo a Casalecchio? Qui non si è sentito niente. Dicono su una scuola? Aspetta che accendo la TV.”
Mia sorella era a scuola, faceva la prima elementare alle Viganò di Ceretolo, il Tg riportava già la notizia.
“Si papà dicono che è caduto un aereo alle scuole superiori Salvemini.”
Smisi di giocare con il Subbuteo.
Le immagini che si susseguirono nelle ore successive furono scioccanti, per tutti anche per un bambino di nove anni. Quel buco nella scuola, quei ragazzi che scappavano dalle finestre al primo piano, i vigili del fuoco che li portavano a fatica nel prato sottostante. Morirono dodici ragazzi, tutti della seconda A.
Il giorno dopo, a scuola, la nostra maestra Mirella ci parlò di quello che era successo al Salvemini. Con le lacrime agli occhi ci disse che tra quei ragazzi due sue ex allieve erano morte.
Qualche giorno dopo passammo con mio padre davanti al Salvemini, il buco nero lasciato dall’impatto dell’aereo e l’odore di bruciato furono strazianti.
Un aereo militare in avaria, abbandonato dal suo pilota sopra le colline di Ceretolo, nel cielo sopra l’Eremo di Tiziano, diventò un missile, ed entrò esattamente nell’aula della seconda A.
Quel 6 Dicembre al Salvemini di Casalecchio morirono 12 Ragazzi di 15 anni e altri 88 rimasero feriti, riportando invalidità permanenti tra il 5 e l’85 per cento.
Quel giorno a Casalecchio morì il futuro, inghiottito da quel buco nero, dodici ragazzi, dodici quindicenni non avrebbero mai dato il loro primo bacio, non si sarebbero mai fidanzati, non avrebbero mai preso la patente, non avrebbero mai votato, non avrebbero mai fatto l’amore, non si sarebbero mai sposati, non avrebbero mai avuto figli, non avrebbero mai fatto diventare nonni i loro genitori, non sarebbero mai diventati nonni.
E anche per chi si salvò, per molti di loro, quel giorno il futuro fu profondamente cambiato.
A ventinove anni da quella tragedia non è stato trovato nessun colpevole e mai nessuno probabilmente sarà trovato.
Per lo Stato Italiano dodici ragazzi di 15 anni morirono per uno sciagurato caso.
È triste da dire, ma è pura realtà, per lo Stato Italiano dodici ragazzi morirono di sfiga.
Nel primo grado di giudizio il pilota dell’aereo che si schiantò sul Salvemini fu condannato a più di due anni, in appello e successivamente in Cassazione, la condanna sparì, nessun reato era stato commesso nessuna negligenza, nessuna imperizia. Fu solo sfortuna.
La sfortuna ci fu, è innegabile che quell’aereo poteva cadere dovunque e invece centrò in pieno la scuola e l’aula della seconda A. A quei tempi non esisteva ancora lo Shopville, non esisteva Meridiana, per lo più c’erano campi incolti, eppure l’aereo del sottotenente Viviani riuscì a centrare con precisione millimetrica quell’aula.
L’ Airmacchi MB 326, partito da Verona Villafranca, andò in piantata motore qualche minuto prima che il sottotenente, ora tenente Bruno Viviani, si lanciasse con il paracadute. Qualche minuto prima di trovarsi sopra le colline di Casalecchio.
In torre di controllo a Verona, i cui responsabili erano assenti, fu consigliato al pilota di dirigersi a Bologna per un atterraggio di emergenza. Non fu presa in considerazione la possibilità di atterrare in emergenza sulla pista di Ferrara, molto più isolata rispetto al trafficato Marconi di Bologna e neanche di provare a raggiungere l’Adriatico, quello obbiettivamente troppo lontano.
Quando su Casalecchio il pilota Viviani si rese conto che l’aereo diventava incontrollabile, tanto da cominciare a girarsi, il tenente si eiettò con il paracadute. Il contraccolpo del lancio raddrizzò l’aereo, trasformandolo in un missile, che il fato volle far finire dentro la Seconda A della succursale dell’istituto Salvemini.
Dodici ragazzi, affidati allo Stato Italiano dentro una scuola superiore, furono uccisi da un aereo militare fuori controllo e abbandonato di proprietà dello Stato Italiano. Non tornarono mai più a casa, quella sera non cenarono con i loro cari e mai più lo avrebbero fatto.
L’Avvocatura dello Stato italiano difese l’Aeronautica militare rinunciando a costituirsi parte civile a fianco dei parenti delle vittime.
Lo Stato lasciò soli i padri, le madri, le sorelle, i nonni di quei ragazzi, che lo stesso Stato aveva preso in cura cercando di farli diventare uomini e donne del futuro e che invece il futuro gli e lo tolse.
Perché l’aereo andò in piantata motore, furono fatti tutti i controlli necessari prima di partire, perché fu fatto arrivare su un’aerea così densamente popolata, il pilota era ancora ad una quota adatta a lanciarsi o era già troppo basso? Valutò bene quella scelta, oppure fu preso da un’umana e concepibile paura, ma militarmente inaccettabile e si lanciò lo stesso? Fu giusto che un sottotenente, con anche un buon numero di ore di volo, affidasse al fato quell’aereo?
Per la giustizia italiana tutte queste domande ebbero un’unica risposta, il fatto non costituiva reato.
Dodici quindicenni morirono di sfiga, questa è la sintesi di tre gradi di giudizio che successivamente nessun governo, di nessuna parte politica, riaprì.
Il verdetto fu accettato in silenzio e a testa bassa dalla politica italiana.
Quella che le stesse istituzioni chiamano strage in realtà per lo Stato Italiano è solo una sfortunata tragedia.
Eppure per tutti quella fu una strage, certamente non voluta, ma dalle grandi responsabilità, dovute ad una serie di evidenti elementi sottovalutati, che eppure nel processo non furono considerati tali.
Mi fermo davanti a quel buco nero in questi ultimi giorni dell’anno 2019, ora è una splendida vetrata, una vetrata che richiama luce e speranza, addolcisce, per quanto possa riuscirci, il ricordo di quella strage.
La luce abitata, da quel 6 Dicembre 1990, da Deborah, Laura, Sara, Laura, Tiziana, Antonella, Alessandra, Dario, Elisabetta, Elena, Carmen, Alessandra, una luce di speranza che ha chiuso il buco nero, ma non lo ha dimenticato.
La luce che un giorno dovrà vedere anche lo Stato, chiedendo scusa alle famiglie di quei ragazzi andati via troppo presto, chiedendo scusa al suo popolo per averlo lasciato solo davanti alla morte del proprio futuro.
Enrico Pasini