Testo e foto di Enrico Pasini
Giorni, mesi, anni, passati a pedalare, le stagioni scorrono e senza accorgermene ormai sono vent’anni che pedalo con costanza ogni stagione.
Come una droga la bici mi prende e quasi mi costringe a stare con lei. È così, inutile trovare scuse, mi devo imporre per non farmi trascinare dal suo vortice. Evitarlo è praticamente impossibile e allora mi accontento anche di due ore, mentre la bici da corsa è a curarsi da Malini prendo la Mtb per un giro veloce ma che sia da ricordare.
La bici è storia, i pedali sono penne e le ruote calamai, scorrono e scrivono inventando e attraversando centinaia di storie.
Domenica mattina di gennaio in Valsamoggia, il cielo è già azzurro ma il sole non è ancora sorto, i campi sono bianchi, non piove e non nevica da un mese, ma la brina notturna disegna e colora di bianco tutto quello che tocca.
Scendendo da Ziribega il freddo sottozero attanaglia la mia fronte come in una morsa, mi sistemo meglio la fascia e comincio a salire dalla Bersaglieria lungo via Paradiso per arrivare in via Merlino. La strada sale, prima leggera a lato la vecchia fornace, poi cattiva, molto cattiva fino al ristorante dove diventa sterrata. Poco più avanti finisce contro il cancello di una villa, io svolto a sinistra lungo un sentierino in mezzo al campo.
Salgo agile, pedalo sull’erba senza forzare mentre il primo raggio di sole buca MonteSanPietro e illumina Zappolino. La luna è ancora sopra Castelletto mentre comincia a tramontare.
Alba del giorno e tramonto della notte nello stesso momento, mentre le ruote sbriciolano la brina e fendono il fango ghiacciato.
Pedalo, in cima al calanco un vecchio camion giace arrugginito affianco un capannone, la strada probabilmente un tempo arrivava fin lì, ora è terra ed erba, mi lancio in discesa e ritorno a salire. La Chiesa di Zappolino mi appare alla fine del campo appena inizia la strada al podere Colombara.
Il silenzio della domenica mattina domina tutta la valle, anche quando arrivo sulla strada verso Savigno non vi sono auto che sfrecciano, ma non vi è neanche odore di caffè o pane appena sfornato. Il Palazzo di Cuzzano risplende tra i campi, la vecchia osteria di Ponzano riposa dopo le feste natalizie e anche a pranzo rimarrà chiusa. Passo accanto alla chiesa e mi butto verso Tintoria. Il tratto di strada da Tintoria a Savigno anche in Bici da corsa non lo sopporto, in Mtb sembra infinito. Il sole scompare dietro il monte, Savigno è ancora in ombra, e il Samoggia scorre placido e gelato nel suo grande letto.
Io non arrivo a Savigno ma salgo a Samoggia, lungo quella strada che subito si impenna dura tra i campi e punta decisa verso la chiesa. Samoggia è un piccolo gruppo di case, qualcuna disabitata ormai da anni ma altre in sasso ristrutturate e rese gioielli splendidi che si elevano da terra.
La pace che si vive è straordinaria, molti si chiedono perché vivere in borghi relativamente isolati, lontani dalle comodità della città e dell’hinterland, questi molti non hanno capito quanto sia sana questa tranquillità, quanto sia essa la vera comodità che il mondo sta perdendo. Una comodità che ha fatto sua anche un famoso cantante venendo abitare qui, Luca Carboni ormai da anni risiede in questo borgo e non di rado lo si incontra alla Trattoria Lina.
Passo accanto alla trattoria e continuo a salire, alcune macchine sono dietro di me, mi faccio a destra e le lascio passare, svoltano verso via Faiano e una coppia intenta a tagliare legna, sorpresa, esclama: “A quest’ora addirittura quattro auto? “.
Sorrido e gli do il buongiorno, mi salutano e continuano a tagliare la legna mentre io continuo a salire pensando a quanto le abitudini possano essere diverse, noi cittadini abituati a sentire il traffico e respirare lo smog neanche più ci accorgiamo quanto inquinamento subiamo, loro invece disturbati da quelle quattro auto che chissà cosa ci facevano a quell’ora a Samoggia.
Salgo, la strada è stupenda, stretta segue sinuosa il profilo del monte, passo Borgo Castello di Samoggia, l’unico sveglio è un picchio che lavora creando un nuovo nido, ad un certo punto arrivo ad un gruppo di case, sulla prima c’è un cartello, “località Bottega, l’arte del silenzio.” Come non essere d’accordo, qui il silenzio è tanto naturale quanto monumentale da essere veramente un’opera d’arte.
Poco più su si apre un cortile, la strada spiana e diventa sterrata proprio all’altezza di un vecchio pozzo che fa da entrata al cortile.
Appoggio la bicicletta al pozzo e mentre scendo mi viene in mente una leggenda che qualche ciclo amatore di Zola mi aveva raccontato.
Si narra che un caldo giorno d’estate di parecchi anni fa il gruppo di Malini Bici di Casalecchio voleva salire a Monte Ombraro per pedalare senza patire la canicola della bassa. Uno dei componenti del gruppo a Savigno prese via Samoggia convinto di trovarsi invece su via Malcantone. Erano tutti in bici da corsa, salivano tutti dietro al cicerone improvvisato dubbiosi del fatto che quella fosse la strada giusta. Arrivati al pozzo videro l’asfalto finire e iniziare lo sterrato. Adirati, non poco con il povero smemorato girarono la bici e tornarono a Savigno. Il povero ciclomotore rimase fermo minuti interminabili attaccato a quel pozzo, finché girò la bici e tornò verso casa. Era talmente avvilito che faticò non poco a trovare la strada di casa, ma riuscì ad arrivarci e una volta aperto il garage appoggiò la bici da corsa e prese la Mtb. Si diresse di nuovo verso Savigno ma mai più trovo quella strada e quel pozzo. Si narra che sia ancora in bici in quei boschi alla ricerca di via Samoggia, che un incantesimo lo costringa ogni volta a deviare verso altre strade, altri boschi, altri sentieri. Non si ferma mai e non lo si riesce mai a vedere in giro. Ogni tanto torna a casa verso Zola e qualcuno giura di vederlo alla mattina in un bar di Riale, al Tiffany sembra, fare colazione e ripartire in cerca di quella strada che lo porti a MonteOmbraro.
Riprendo la bici e riparto, chissà da dove è nata quella leggenda e chissà se incontrerò quel ciclo amatore, se così lo si può chiamare.
Io via Samoggia l’ho trovata, sono venuto fin quassù apposta per vedere se era possibile poi farla in bici da corsa. Lo sterrato parte in discesa, la strada taglia il monte in due, da una parte Savigno e il Samoggia dall’altra Ciano e il Modenese. È bellissima, dopo la discesa ricomincia a salire, poi scende nuovamente e risale, sulla destra ci sono un paio di sentieri battuti che partono e scendono a valle per poi risalire sul calanco di fronte. A casa scoprirò che quei sentieri portano tutti verso via Faiano e a scendere verso Pompilio e Castelletto. C’è un sentiero che cavalca perfettamente il calanco, mi fermo a studiarlo, davanti a me il paesaggio si apre nitidamente dalla chiesa di Tiola fino a Ciano, finanche alle prime case di Modena immerse nella nebbia.
Sono estasiato, sapevo di percorrere strade belle ma non pensavo di trovare davanti a me scenari così meravigliosi. Proseguo, un ultimo strappo duro e dopo pochi metri comincia l’asfalto di via Malcantone. La valle del Samoggia è finalmente baciata dal sole che sghiaccia la brina avvolgendo i monti in opache nuvole di umidità, mentre dall’altra parte la chiesa di Monte Ombraro svetta nel blu del cielo.
Arrivo proprio fino alla chiesa, nella stradina che si inerpica in paese ho la tentazione di prendere un contromano e farmi il bel ciottolato in salita. Desisto, son quasi le dieci e potrei incontrare qualche auto, arrivo in cima, giro intorno alla chiesa, e torno giù dalla stradina storica in ciottolato.
M’involo verso Ciano, per essere in Mtb ho fatto troppo asfalto ma lo sapevo, volevo fare un po’ di chilometri cercando comunque strade diverse dal solito, un giorno per farle magari con la specialissima. La parte sterrata di Via Samoggia è sicuramente un azzardo farla in bici da corsa e per questo appena Paolo mi monterà i tubeless da 28 proverò a farla. In estate sono salito alla Croce Arcana, via Samoggia al confronto è come la tangenziale.
Arrivo a Ciano faccio il tornante di Bonfiglioli e svolto a sinistra verso Castellaccio. Castellaccio è il vecchio borgo di Ciano, rimane sulla collina subito di fronte, vi sono ancora i resti del vecchio oratorio e il borgo storico è una gemma nascosta tra altri gioielli, scoprirlo ti lascia senza fiato. Non mi fermo a contemplarlo prendo il sentiero Cai che indica Castello di Serravalle. Scendo veloce tra i campi con il paese di Guiglia che mi guarda dalla sinistra e il sole ad illuminare il sentiero. Arrivo in via Boschi di Ciano e a Mercatello in poco tempo, Sant’Apollinare e la sua piana sono di un verde intenso, che di invernale ha ben poco, ma che risalta ancor di più la bellezza di questo angolo di mondo.
Il giro è finito, sono stato fuori le due orette che avevo preventivato, metto la bici in garage e intanto ripenso a questi trentacinque chilometri percorsi, ai campi ghiacciati lungo via Merlino, all’alba del sole e al tramonto della luna nello stesso momento, al Palazzo di Cuzzano appena baciato dal sole e al gatto sornione che mi guardava tra le vigne. Penso a via Samoggia, stradina stretta, quasi alpina, che passa tra viti, ciliegi, casolari in sasso e osterie, alla meraviglia della coppia intenta a tagliare la legna nel vedere quattro auto che andavano verso via Faiano e penso alla bellezza del calanco verso via Malcantone e ai sentieri che presto andrò a fare, alle vie storiche di Monte Ombraro dove solo le auto parcheggiate disturbano il loro fascino. Penso a Castellaccio, al suo vecchio oratorio, vedetta per molti secoli e ora conservato almeno in parte da chi ha deciso di non abbandonare il borgo.
Penso a tutto il giro e penso che viaggiamo il mondo in cerca di bellezza poi non ci accorgiamo di quella che abbiamo sotto i nostri piedi.
Sono stato parecchie volte a pedalare nel Chianti, su è giù per le sue colline e i suoi borghi, le sue vigne e le sue cantine, e forse sarà esagerato paragonarlo al Valsamoggia, ma alla fine il Chianti è poi solo un vino…