Girare L’Italia per il lungo e il per il largo.
È quello che ha fatto Paolo Rumiz, anche se in realtà è meglio dire che lo ha fatto per il largo e per il lungo.
Ha attraversato tutto l’arco alpino da est ad ovest e tutti gli Appennini da nord a sud.
Sulle Alpi girando in bici, in auto e a piedi, in Appennino noleggiando una vecchia Topolino del 1953 e solcando le altrettanto vecchie cime appenniniche su un mezzo che ha fatto la storia d’Italia, la stessa storia che hanno fatto centinaia di paesini e borgate appenniniche.
A chi piace la montagna, soprattutto a chi ama l’Appennino, questo piccolo libro di Paolo Rumiz potrebbe diventare una nuova, piccola, Bibbia.
E forse l’unico appunto che si può fare all’autore è di non aver scritto due libri, uno sull’attraversata alpina e uno su quella appenninica. E per chi, come chi recensisce, ama profondamente l’Appennino, questa più che una critica risulta una richiesta.
Triestino, orgoglioso della sua terra, Paolo Rumiz parte dalla Dalmazia il suo giro sulle Alpi, dal punto che lui scopre esserne l’inizio, arrivando fin dopo la loro fine naturale, in Francia, a Nizza, forse più Montecarlo, trovando un monumento come traguardo.
Tra l’inizio e la fine un viaggio ricco di avventure, conversazioni, scoperte e ricerche.
Storie di uomini e di orsi come l’orsa Vida e il suo lungo e tenace cammino, il rapporto e la paura che l’uomo ha di questi meravigliosi animali fa spesso ritorno in queste pagine, ed è incredibile come faccia da contrapposizione con la conoscenza di un uomo che per molti in Europa è stato visto come un feroce Grizzlies, Jorge Haider, con cui l’autore trascorre più giorni facendosi guidare da lui, governatore di estrema destra, (ora scomparso) , della Carinzia, uomo ricco che viene visto da Rumiz come un vecchio lupo alla macchia. Più lupo che orso, più docile cagnone che lupo cattivo.
Un vero Lupo è Mauro Corona con i suoi racconti di fantasia, amore e rabbia per la montagna abbandonata e la tragedia del Vajont ancora viva in lui e in chi abita quella valle.
Il Grappa, la Val di Fiemme, gli alberi del Rolle che suonano nel vento e che, inconsapevole l’autore, il vento lo scorso anno ha spazzato via trasformando la montagna in una fossa comune di Abeti. Viaggia Rumiz fin su al Brennero, terra di confine di ferrovieri e di raccoglitori di funghi, svalica in Austria attraversa e vive la valle dell’Inn per poi tornare in Italia, lì sul confine dove venne ritrovato Otzi e raccontandoci la sua, e quella del suo scopritore, incredibile quanto misteriosa storia, dove leggenda e verità si abbracciano strette.
E prima di scendere in Francia sale sul Bianco, ricco, troppo ricco di acqua gelida che fin a qualche anno fa era ghiacciaio, incontrando uomini che han scelto come sposa la montagna, donna capricciosa ma sempre fedele.
La partenza in Appennino parte dalle spiagge di Ponente su una vecchia Topolino del 1953 che gli darà non pochi grattacapi durante il viaggio ma a cui Rumiz si affezionerà molto.
L’Appennino lo chiama, L’Italia è Appennino, un Appennino sfruttato svuotato e abbandonato, ma che richiama ancora tanto fascino, tanta bellezza e tanta storia Italiana.
La stretta e lunga Liguria che sconfina spesso in Piemonte, terra di campionissimi e di eremi medievali, è l’inizio di un viaggio che si concluderà dopo 4000 chilometri e un imprecisato, quanto impressionante, dislivello, su e giù per le cime appenniniche, lungo le valli infinite, come quelle emiliane, che tagliano le province e le portano in crinale, un crinale di confine con la Toscana un crinale di battaglie e disfide tra ricchi signori.
Sfiora anche la mia montagna Paolo Rumiz con la sua Topolino, menziona il Corno alle Scale ma non ci passa, lo accarezza, lo vede, ne tocca qualche borgata, in una giornata che è forse la più sfortunata, ridicola, ma anche avventurosa per lui. Prova a passare in Emilia dalla Toscana da vecchi passi sterrati, ma la neve lo blocca sempre. A Cutigliano in un bar lo scherzano tranquillizzandolo di riuscire a passare dalla Croce Arcana. Non ci riesce e torna indietro per l’Abetone. Attraversa l’Ospitale e circumnaviga la Riva passando da Trignano e raccontando la bella, ricca e triste storia di Felix Pedro.
Non scende ancora a Sud e se lo fa lo fa con molta calma, dirigendosi verso l’adriatico e poi buttandosi dal Montefeltro verso i Sibillini, monti dove le favole non si contano e dove ancora vengono scritte, come all’Eremo di Fonte Avellana ai piedi dell’alto Catria.
Mai banale quello che ci racconta Rumiz, sotto il Terminillo, la montagna di Roma, il pranzo in una locanda come unico cliente diventa una lezione di poesia e Storia locale, storie di famiglie, amori e cognomi.
Amatrice prima del terremoto e il lungo e largo Abruzzo terra di esilio Mussoliniano e di moderne ricerche nucleari sono la via verso il profondo sud.
L’Italia non finisce mai, è lunga come i racconti che ogni borgata propone. Nel piccolo Molise la Transumanza verso la calda Puglia era momento di solitudine e abbandono familiare mesi di mondo a sé stante che era difficile poi abbandonare.
Il Sud vero inizia tra Campobasso e il Gargano, a Ripabottoni, la discesa verso il Tavoliere dove all’improvviso l’Appennino si ferma e che è quasi impossibile evitare con il richiamo delle prime montagne che riporta la Topolino sui tornanti appenninici. Montagne solcate da strade cantate anche da Guccini, ricche di case cantoniere abbandonate, uno spreco tutto Italico insieme a pretese di ricostruire, prima o poi, chissà quando, paesi diroccati da terremoti ormai lontani anche dai ricordi.
Il profondo Sud così lungo, così alto, le terre di Capossela, i cani randagi che spuntano da ogni curva insieme a sacchi di rifiuti, Rumiz entra ed esce dalla Calabria tra Irpinia, Basilicata e Pollino e vede l’anarchia insieme a tanta bellezza che non riesce a prendere splendore.
La vera Calabria inizia a Mormanno dove il traffico lo blocca nei paesi e lo libera subito fuori, nel fresco e nel verde della Sila, con il vento del Tirreno a spingerlo verso lo Iono.
Ma il suo obbiettivo è CapoSud e più si avvicina più una tristezza mi avvolge. La tristezza di una vacanza ormai finita nelle poche pagine che rimangono da leggere, la felicità di un obbiettivo raggiunto insieme alla nostalgia delle fatiche attraversate.
Dispiace finire questo libro, mentre Rumiz attraversa la Locride con le guida trekking tra sentieri, viste improvvise sulle Eolie e la ricerca dei nascondigli della ndrangheta, scendendo a CapoSud dove la sua Topolino si ferma più stremata dello stesso autista, più conquistatrice di quel Garibaldi che li sbarcò due volte e che ora solo un abbandonato monumento tiene a ricordarlo.
Finisce l’Appennino, si butta in mare e ne riemerge dall’altra parte l’Etna, un altro mondo, un’altra storia, la Topolino pronta a tornare verso il legittimo proprietario in camion, Rumiz chiude le portiere con un velo di tristezza e probabilmente tanta nostalgia, la stessa che provo io chiudendo l’ultima pagina del libro.
Sapevo di amare la montagna, sapevo di amare l’Appennino, ma ora ne ho la certezza.
Grazie Paolo Rumiz.
Enrico Pasini