Testo e foto di Enrico Pasini
Ho sempre scritto della mia montagna con grande passione e amore, e continuerò a farlo, lo sto facendo tuttora con questo racconto di tre veloci, troppo veloci, giorni, nelle ferie tra Natale e Capodanno.
Ho vissuto la montagna in questi tre giorni, con lentezza e semplicità, con calma e tranquillità, respirandola e ascoltandola.
L’ho vissuta come piace a me, e più passa il tempo più penso che non si possa non amare questa montagna. Ma per una volta nello scrivere non sono riuscito a nascondere alcune critiche e lacune che ho vissuto e ascoltato in poche ore.
Ho notato che da quando vi si è insediata la nuova amministrazione è arrivata una ventata di positività che ha fatto solo bene all’immagine del Corno.
Non vi sono più polemiche e si cerca un’unione, almeno di intenti, che è più che apprezzabile.
Ma quindi funziona tutto bene adesso al Corno?
No, non funziona tutto bene. Molti problemi non sono stati risolti e altri storici stanno emergendo e rischiano di travolgere il territorio. Non basta la buona volontà per eliminarli e l’impressione personale è che le risorse, soprattutto umane di forza lavoro, comincino a mancare.
La mancanza di una forza di opposizione in Comune ha sicuramente unito chi vive quotidianamente la montagna, e l’ha sempre vissuta, ma ha forse fatto mancare quel senso critico, che in passato era sicuramente stato esagerato, ma che alla fine aveva prodotto anche qualche risultato.
In una democrazia non avere opposizione ti fa perdere la misura di quello che stai facendo. È come fare il muratore senza usare il metro o fare il cuoco senza la bilancia, qualunque cosa fai la fai bene, non hai più una bilancia per trovare la ricetta giusta, un metro per misurare il lavoro fatto.
Al Corno sta succedendo questo, impegno massimo, che è vero, uguale tutto bene, che non è vero.
Stanno emergendo problemi che qualche amico commerciante mi aveva già preventivato anni addietro.
“Qui sta già chiudendo tutto Enrico, quando i vecchi non c’è la faranno più chi li sostituirà, dove sono figli e nipoti? “
Questo mio scritto non vuole essere una critica, soprattutto non vuole essere assolutamente critica politica, e non vuole riattivare sentimenti disfattisti di molti, vuole esser solo un grido d’amore per la nostra montagna, il Corno Alle Scale che potrebbe essere un marchio incredibile nel turismo italiano e che invece sta perdendo sempre più forza lavoro e quel senso d’identità che diverse bellissime iniziative stanno cercando di riattivare, potrebbe essere insufficiente per valorizzare questo splendido angolo d’Italia.
Come riuscire a far emergere il marchio Corno Alle Scale non è facile dirlo, forse basterebbe solamente più semplicità e professionalità, come i numeri dei locali pieni a Capodanno dimostrano. Ma non vi è solo Capodanno, e soprattutto non vi è solo la neve, inverni come questi se ne sono vissuti parecchi negli ultimi 20 anni e se ne rivivranno sempre di più nei prossimi 20.
Questa montagna ha bisogno di 365 giorni di presenze, piccole ed educate, turisti sostenibili che amino la semplicità e la ricchezza di passeggiate in montagna o anche solo di isolarsi qualche giorno in uno dei nostri meravigliosi borghi.
Solo così si potrà portare alto il marchio del Corno Alle Scale.
TRE GIORNI TRA NATALE E CAPODANNO
C’era un’aria strana quando siamo arrivati a La Cà, l’avevo già sentita, l’avevo già assaporata tre giorni prima passando in bici da Querciola, un vento forte e caldo che ci prendeva e ci spostava dove ci pareva salendo e ancor peggio scendendo da Rocca Corneta, un vento che era il perché di quei canaloni svestiti dalla neve e dalle piene nei fiumi di quei giorni.
Davanti alla porta di casa centinaia di foglie erano adagiate per terra, nel giardino bellissime margherite erano appena fiorite, il 26 dicembre, Santo Stefano.
L’inverno era scappato dai monti e si era chiuso in casa. Un mese chiusa, una nevicata che era già stata dimenticata ma che aveva reso la casa un frigorifero. Il tempo di accendere la stufa a pallet e i termosifoni, di aprire gli scuri e di fare una telefonata al ristorante preferito ed eravamo già seduti con un bicchiere di bianco davanti e le gambe sotto la tavola.
Non c’erano molte case aperte, nel borgo la mia era l’unica abitata, eppure il locale era pieno, il vociare allegro e l’odore del mangiare sublime, come il suo sapore che aveva deliziato i nostri palati e riempito i nostri stomaci, non certo bisognosi di altre calorie. Era stato il pranzo perfetto per finire le abbuffate della vigilia e di Natale, il fuoco d’artificio finale delle feste, a suon di tartufo, funghi, salsiccia e formaggio fuso. Una passeggiata digestiva per le vie del delizioso borgo, mentre una capretta brucava l’erba, alcuni avventori la fotografavano, un gatto si nascondeva tra la catasta di legna e il sole cominciava a toccare la Riva pronto per scendere verso una nuova serata. Anche qui con troppi scuri sbarrati e troppe porte chiuse, le notizie degli impianti chiusi aveva ritardato molti arrivi e si diceva avessero fatto disdire anche molte prenotazioni verso il Capodanno.
Mi chiedevo il perché, perché guardare solo alla presenza della neve quando questa montagna era molto di più, uno scrigno di gioielli dove la neve era forse il più piccolo, sebbene prezioso, perché guardare solo a quello, perché puntare solo su quello?
Alla sera la domanda mi si pose davanti ancora, durante un giretto a piedi prima di cena due ragazzi facevano aperitivo nel locale del paese. Mentre una birra scorreva insieme ad una tartina parlavano e si chiedevano perché, nonostante le piste chiuse, non avessero aperto i rifugi, non avessero attivato almeno la seggiovia delle Rocce nei giorni di Natale. Con le giornate primaverili che aveva fatto in quanti saranno saliti alle Croce, in quanti sarebbero potuti salire, mangiare un panino e un piatto di polenta, crogiolarsi e abbronzarsi al sole troppo caldo di dicembre. Perché lasciare tutto tristemente chiuso nei giorni di Natale?
Il Corno punta veramente ad unirsi con la Doganaccia ma è pronto a questo?
Umilmente si sta chiedendo se ne ha forza?
Dormire nel silenzio della montagna è così riposante che mettere la sveglia è reato, anche senza rinunciare ad un lungo giro a piedi sulle vette spoglie di neve.
Prendiamo la macchina e scendiamo con calma, sono passate da poco le dieci e ci avviamo verso Fanano, passiamo il ponte sul Dardagna e pochi chilometri dopo svoltiamo verso Trignano. Siamo già in provincia di Modena, è proprio il Dardagna a segnare il confine, è cosi da secoli, Trignano è un borgo di poche case, un paio abitate, una chiesa, un centro tematico sui Monte Della Riva e il monumento a Felice Pedroni la cui storia andrebbe raccontata in un libro, o un film.
La meta è il Lago di Pratignano, potremmo lasciare l’auto già a Trignano e fare il sentiero, preferiamo però accorciarlo, così saliamo da Serrazzone fino alla fine della strada asfaltata. Il vento dei giorni scorsi ha rivoltato il bosco, la strada non è in buone condizioni ma arriviamo a Pian della Farnia senza difficoltà e da lì continuiamo a piedi. Alcune auto salgono, penso alle condizioni della strada asfaltata e quasi mi auguro peggiorino. Vedere quelle auto salire fino al Lago, vederle parcheggiare a pochi metri dal Lago con il Cimone a far da sfondo alla loro salita lo ritengo un’offesa alla natura, è come assistere ad un crimine, a Pratignano come alla Croce Arcana.
Noi saliamo a piedi, facciamo passare le auto attraversando i pascoli bruciati dal gelo, l’ombra fredda delle pinete, vecchi essiccatoi diroccati e le Alpi alle nostre spalle maestose e nitide troneggiare sulla Pianura Padana. Accanto ad un vecchio essiccatoio diroccato un pino è cresciuto adattandosi alla sporgenza del tetto. È incredibile come la natura riesca ad adattarsi alla nostra presenza e noi invece non riusciamo ad adattarci a lei, ma anzi pretendiamo da lei che segua i nostri umori, o per meglio dire, malumori. Il terremoto lo chiamiamo maledetto, ma non è il terremoto ad ucciderci, siamo noi che non siamo ancora in grado ad adattarci ai suoi movimenti.
Il lago ci appare alla fine della strada, un velo di ghiaccio lo ricopre faticosamente, le crepe si vedono dall’alto e se ci appoggi un piede riesci a farlo oscillare tutto. La nebbia della pianura salita in cielo oscura il sole, ma la poca luce che filtra rende le fioriture, ormai bruciate in mezzo al lago, come oro bianco, come un piano dorato su cui il Corno alle Scale è adagiato e appoggiato, maestoso e meraviglioso nella finestra che sembra fatta apposta tra i monti della Riva.
Come sa essere camaleontico il Corno alle Scale, sempre diverso da ovunque lo si guardi. Come si può non ritenere magica questa montagna che rende magico anche tutto quello a lui collegato, come il Lago di Pratignano, formatosi nell’unico sdoppiamento della Riva, uno sdoppiamento dovuto all’adattarsi della terra alle condizioni climatiche che il tempo gli ha posto, abitato da animali preistorici e da fate maligne.
Mangiamo un panino, godiamo del sole che finalmente vince la nebbia arrivata dalla bassa e del silenzio magico del lago, torniamo verso la macchina e verso il Belvedere.
Per concludere una bella giornata ci incamminiamo nelle vie storiche di Gaggio Montano, saliamo al Faro, ammiriamo il sole scendere sotto il Belvedere e lanciare l’ultimo raggio verso Castelluccio prima di colorare il cielo di rosso e mandare la buonanotte. Scendiamo e scopriamo un bellissimo presepe nella roccia sotto la Chiesa Parrocchiale, un presepe che non avevo mai visto e di cui non conoscevo l’esistenza e che forse, non solo per ignoranza, viene troppo poco considerato.
Saliamo verso casa non prima di un meritato bicchiere di vino e due crostini. Al contrario del giorno prima i locali sono deserti, il silenzio nell’aria è da giornate autunnali infrasettimanali, non vi è certo il brusio delle vacanze natalizie, delle cucine impegnate, dei camini ardenti, dei ragazzi che lanciano petardi criminali lungo le strade.
In un mondo consumistico e frenetico riuscire ad accontentarsi di una passeggiata e goderne il suo silenzio è evidentemente troppo poco, e pochi come noi riescono ad apprezzare queste magie.
Manca qualcosa evidentemente al Corno per farsi apprezzare, un messaggio che lo porti all’attenzione, una storia che lo racconti, una favola che lo esalti, è amato e desiderato, eppure qualcosa non va, eppure lo spirito di appartenenza che negli anni lo aveva cresciuto si sta perdendo.
Dedico l’ultimo giorno di permanenza a spazzare via il quintale di foglie davanti a casa, per renderla bella come è la montagna che la ospita.
Scendiamo a mezzogiorno per salutare gli amici a Vidiciatico. Un bicchiere di Prosecco per aperitivo, due funghi fritti e una grigliata per farci il Buon Anno.
Mancano quindici minuti alle 14, orario di chiusura del ristorante, entrano due coppie, si siedono a due tavoli e chiedono di ordinare. La gentile cameriera si avvicina e avverte che la cucina è chiusa, o ci si accontenta della polenta o purtroppo si deve uscire. Una coppia rimane, l’altra se ne va. Gentilmente sdegnata. Rimango perplesso, in un periodo in cui si dovrebbe avere il tutto esaurito ma che la mancanza di neve ha reso al limite del disastroso, con 6 coperti a pranzo in totale, il cuoco, seduto ad un tavolino, intento a mangiare, guarda la coppia uscire.
La tua straripante bellezza mia cara montagna, mio caro Corno, non basta, qualcuno sta provando a risollevarsi, a farti conoscere, ha splendide idee, sta valorizzando la tua storia, i tuoi eroi, come Enzo Biagi, ma sono troppo pochi e troppo soli e ancora troppo divisi, mentre locali storici han chiuso o chiuderanno con l’anno nuovo.
La tua storia moderna cara mia amata Montagna somiglia tanto alla storia di Felice Pedroni di Trignano.
Scappato alla fine del 1800 per povertà in Canada, e poi in Alaska, lì trovò l’oro, fondò una città, Fairbanks, e poi ricco tornò sui suoi monti.
Felice si innamorò di una giovane maestrina di Lizzano che però rifiutò la sua proposta di matrimonio, costringendolo, deluso e con il cuore spezzato, a tornare in Alaska. Si sposò e dilapidò il suo patrimonio per accontentare in tutto per tutto la moglie, morendo a soli 52 anni per cause sconosciute.
Tu mia cara Montagna, mio Corno alle Scale, chi sei, sei la giovane maestrina o sei il cercatore d’oro?
O più semplicemente sei tu l’Oro?
Si sei l’Oro, una stupenda pepita d’oro che va solo fatta fruttare.