Essere degni dei nostri Padri
Articolo e foto di Federico Piacenti
Le porte della prestigiosa aula dello Stabat Mater nell’Archiginnasio di Bologna si sono aperte nel pomeriggio di venerdì 18 Maggio per la celebrazione del “Il Rugletto dei Belvederiani“; l’associazione ha deciso di aprirsi e di mostrarsi nelle sue particolarità e nei suoi valori a tutto il territorio di Bologna.
Nata nel 1967 ad opera di Giorgio Filippi per essere un tramite tra gli antenati e gli eredi, per conservare e tramandare la vita, le storie, la lingua del territorio del Belvedere, per raccogliere tutto ciò che ha costituito l’identità di un territorio e dei suoi abitanti, contrastando con una pacata ma irresistibile dolce forza l’oblio a cui le innovazioni e le trasformazioni (enormi nei decenni che hanno seguito la fine della seconda grande guerra) hanno condannato le tradizioni della montagna.
In una pubblicazione, “la Musola” (flauto in dialetto locale), sono stati raccolti racconti e testimonianze: “con i soli obbiettivi di condividere se stessi in tutti gli aspetti della vita della montagna” come ha detto Valerio Zanarini console del “Rugletto”.
Fin dal primo numero la rivista ha coinvolto gli abitanti che trascrivendo e narrando sono riusciti a recuperare quei dettagli della propria cultura ricostruendo una comunità fiera dei propri valori che velocemente si stava perdendo a causa del boom economico portatore di uno spopolamento rapido e di una distruzione delle unicità ancora non percepite come tali “ad esempio”, ricorda ancora Valerio Zanarini,” le particolarità edilizie come i muri in sasso e i tetti in arenaria” dettagli forse ma dettagli che costituiscono una cultura che rischiava di perdersi e che, ora recuperata, potrà essere continuata dalle prossime generazioni.
Ed è proprio per queste ultime che l’identità culturale diventa importante da recuperare, un’identità che è possibile spiegare con immagini: “radici, fiumi, ma anche strade”come ha spiegato il professor Tommaso di Carpegna Gabrielli Falconieri perché la cultura è qualcosa di costruito dall’uomo, con un inizio e un obbiettivo, ma è qualcosa che si integra nel luogo e diventa essa stessa essenza del territorio“. Un’identità che può essere paragonata ad un giardino come ha suggerito Giuseppe Severini: natura e volontà umana, unite, si sostengono a vicenda e creano un connubio unico per ogni luogo, dovendosi ascoltare e fondere per dare forma ad un ordine in continuo mutamento ma emblematico per ogni nuovo nato. Ma identità sopratutto come racconto, recuperabile e fruibile dai più, come ha ricordato il poeta Leandro Piantini, raccolte le parole e conservate esse diventano immortali e capaci di insegnare ciò che era e ciò che forse continuerà ad essere.
Un’associazione unica e straordinaria che, come ha ricordato Maddalena Filippi introduttrice e moderatrice della giornata, ha tagliato questo traguardo solo con le forze dei propri iscritti e sostenitori appartenenti ad una unica comunità che ha, con le parole di Fabio Alberto Roversi Monaco, “uno strumento eccezionale quale è la Musola per tutelarsi e sopravvivere consapevole di se stessa, evento assai raro nella nostra moderna e mutevole società”
In questi tempi segnati da una fame di superficialità, di incertezze e confusi schieramenti l’unico modo per non perdersi è ricordare chi eravamo, come siamo arrivati qui. Riscoprire i valori del passato potrebbe mostrare come i nostri privilegi sono stati conquistati, potrebbe farci capire la profondità della vita quando era impregnata da una fatica che scavava l’anima ma insegnava un rispetto che ora rischia di perdersi assieme alla nostra umanità.
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