Vi sono abitudini, nella confezione degli alimenti, che svelano abitudini, commerci e tradizioni che si perdono nel passato se non nella notte dei tempi. Recentementre mi è ritornato alla mente come la mia nonna materna, Maria Tamarri,nata negli ultimi decenni dell’800, preparava determinati cibi nella casa di Pianaccio. Vi era una precisa separazione, specialmente nell’impiego dei grassi, fra quelli di origine animale e quelli di origine vegetale. quest’ultimi erano rappresentati esclusivamente da EVO di origine toscana,proveniente facilmente dalla prov. di Pistoia. Quelli di origine animale erano di due tipi: lo strutto e la pancetta aventi però due impiegi differenti. Partiamo dallo strutto, ben noto grasso di origine suina, il cui impiego precipuo era quello di friggere patate e paste fritte. Queste ultime sono chiamate, in altri siti, Crescente o Grocco fritto. Si tratta di un impasto di farina, acqua o latte, lievito ed un pizzico di sale. Una volta preparato l’impasto e lasciatolo fermentare come si deve, si stende una sfoglia di dovuto spessore. almeno mm 5-6, la si ritaglia a rombi o a cerchi a seconda delle abitudini, e poi si frigge in una capace padella dai bordi alti ben fornita di una giusta quantità di strutto portato ad una temperatura piuttosto vicina al suo punto fumo, siamo attorno ai 250°. Quanto deve essere brava la “arzdora” (massaia) a preparare le “paste fritte”, altrettanto capace lo deve essere il “friggitore” alla padella. Avendo fatto da “spalla” alla nonna ed a mia madre per almeno un ventennio abbondante, posso certificare che in detta occupazione non me la cavo niente male. Si tratta di calibrare fra di loro : Potenza del fuoco, immissione delle paste fritte da cuocere e prelievo di quelle già cotte da posarsi sulla celebre carta gialla. Tralascio altri dettagli sia sulle patate che sulle paste fritte , queste ultime potevano essere servite anche cosparse di zucchero .
La pancetta, specialmente se un po’ magra, fungeva per base di partenza di ragù o di una particolare zuppa che coniugava verdure, carne, pane saltato in padella e formaggio. C’è da chiedersi il perché di questa predilezione dello strutto per questi due tipi di fritti. A mio avviso, il principale è legato alla elevata temperatura che raggiunge detto grasso. Una volta presa la mano, ci si accorge che le “paste fritte” come le patate, hanno un assorbimento bassissimo di grasso in frittura. Probabilmente la superfice delle due sostanze, patate e paste fritte, a contatto con un grasso a tale temperatura, formano una pellicola che impedisce di ungersi o imbibirsi. Di conseguenza anche il consumo di tale grasso risulta estremamente modesto. Un particolare su questo argomento. Trenta anni fa mia figlia, assieme ad una masnada di coetanei, propose agli amichetti/e una scorpacciata di patate fritte. Entusiasmo generale ! Andai in negozio ed acquistati una decina e più di chili di tuberi e il relativo strutto. Pelate le patate e trasformate in sigarette, grazie alla collaborazione giovanile, misi lo strutto in una capace padella, lo portai a temperatura, e poi inizia a friggere con tutti i crismi. Di volta in volta che raccoglievo il fritto pronto con la reticella e poi lo riversavo sulla carta gialla, questo letteralmente scompariva tra le fauci dei ragazzini. Mi fissai su di un particolare. La padella, di acciaio smaltato e di grosso spessore, aveva una decorazione a righe concentriche. Finita l’opera, e le patate, la diminuzione dello strutto, rispetto alle righe della smaltatura, era quasi insignificante. L’altro grasso impiegato era l’EVO, ovvero Olio extravergine di oliva. L’uso di questo era riservato alle insalate, a fare il friggione, da mettere sul pane o quando si cuoceva il castagnaccio con tanto di rosmarino o si friggevano i cubetti di pane secco da mettere nelle zuppe. Due ambiti fra di loro non intersecantisi. L’olio, penso che sia stato portato a Pianaccio e, penso, anche a Monteacuto, da tempi immemorabili. Bastava che un mulattiere andasse con le sue bestie a Porta Franca o poco sotto per incontrare i corrispettivi toscani che lo rifornivano di olio e di VINO rosso.
Il vino era tassativamente robusto rosso toscano, di vitigno sangiovese, arguisco. Tra l’altro, da bambino, il contenitore vinicolo per antonomasia era il noto fiasco impagliato empolese.In zone limitrofe, credo nel Modenese, vi era la tradizione di condire le insalate con un battuto di pancetta fatto saltare in padella e rovesciato sui vegetali. Forse i commerci oleari con la Toscana o le antiche tradizioni celtiche di culto del maiale avevano fatto optare per una diversa soluzione di condimento. Ultime chicce calde, non fritte. Le croste dei formaggi, pulite, si mettevano sulla griglia del camino con sotto le braci e, quando erano diventate morbide, si prendevano con una forchetta e si mangiavano. Un’altra squisitezza, più rara, era quella di disporre di un formaggio ovino però simile al caciocavallo tenero. Si impugnava ad un estremo e l’altro si appoggiava su di una padella posta sulla stufa economica accesa. Quando il formaggio “mollava”, ovvero tendeva a disfarsi, si sollevava, con un coltello si tagliava una fetta spessa 1/2 centimetro che veniva depositata su di una fetta di pane anche lei calda da stufa economica. Si mangiava ancor calda e si ricominciava la preparazione.