Roberto Baggio è sicuramente uno di quei calciatori che mette tutti d’accordo, che ha appassionato almeno due generazioni di amanti del calcio e che ha legato le sue magie ai colori della Nazionale italiana per sempre. L’ex giocatore del Bologna è attualmente in quarta posizione con 27 reti nella classifica perpetua dei marcatori più prolifici della Nazionale italiana, a pari merito con Del Piero, che ha però quasi il doppio delle presenze del divin codino. Ripercorriamo la carriera di uno dei numeri 10 più amati del nostro calcio e che ha fatto grande il Bologna e la Nazionale.
Talento e sacrifici enormi per diventare divino
Pelè disse di lui che fosse il più brasiliano fra i calciatori italiani. Come dargli torto: dotato di una tecnica fuori dalla norma e di un tocco di palla così poetico da far innamorare l’avvocato Agnelli talmente tanto da soprannominarlo Raffaello. Ma i soprannomi per la classe di Roberto, come lo chiamava Bruno Pizzul durante le telecronache dell’Italia, sono stati innumerevoli: dal “nove e mezzo” affibbiatogli da Platini, a “Zico italiano”, come lo definiva Giovanni Trapattoni per la somiglianza nell’incedere con il fuoriclasse brasiliano, passando per Gianni Brera che lo considerava un giovane Peppin Meazza. Baggio è uno degli atleti ad aver rappresentato l’Italia fra i più amati di sempre, ma nonostante la sua classe immensa e un talento cristallino, la sua carriera è stata caratterizzata da tanto sacrificio. Chi non conosce la carriera di questo campione, ma ne conosce soltanto i numeri e i risultati, potrebbe immaginarsi il “solito” percorso di un calciatore di talento: completamente in discesa, riviste patinate, soldi e successo. Ma non è affatto così, il percorso di Baggio per diventare divino è stato pieno di infortuni, controversie, sacrifici e si è dovuto sempre prendere di forza ciò che gli sarebbe spettato di diritto. Proprio come nel ‘94, quando le sue magie trascinarono letteralmente l’Italia in finale dei Mondiali contro ogni ragionevole pronostico e previsione di esperti e appassionati delle scommesse calcio: Baggio era Pallone d’oro in carica, ma la critica parlava di un calciatore stanco e senza grinta, dal talento da leader ma dalla personalità da gregario. I suoi cinque goal messi a segno tutti fra ottavi di finale e semifinale dimostrarono al mondo intero la classe e la leadership tecnica di questo calciatore.
Vicenza, gli infortuni e poi finalmente l’azzurro grazie alla rinascita rossoblù
Baggio non ci mise molto a farsi apprezzare da tutta Italia già giovanissimo, nonostante a soli 18 anni avesse subito un brutto infortunio che gli aveva causato la rottura del legamento crociato anteriore e menisco quando indossava la casacca del Lanerossi Vicenza. Ma la carriera di un campione del genere non poteva essere arrestata nonostante un anno intero di inattività e la Fiorentina, che se ne era anticipatamente assicurata le prestazioni, lo accolse a braccia aperte e lo supportò anche in occasione del secondo infortunio al ginocchio, avvenuto nel settembre ‘86. Esattamente un anno dopo da quell’infortunio Baggio metterà letteralmente a sedere tutta la difesa del Milan, siglando uno dei goal più belli mai segnati nella sua carriera: era il settembre 1987 e la storia del divin codino era appena cominciata. Ma è nel novembre del 1988 che Roberto indosserà per la prima volta la maglia della Nazionale italiana maggiore, in occasione dell’anniversario dei 90 anni della FIGC, grazie alla convocazione di Vicini: nell’amichevole di rappresentanza contro l’Olanda Baggio fornisce l’assist per il goal di Vialli che risulterà decisivo per il risultato finale di 1-0. La relazione di Baggio con la maglia della Nazionale è qualcosa di poetico, che ricorda il suo rapporto con le squadre di provincia: dimensione più congeniale al suo carattere schivo e riservato, ma al contempo bisognoso di essere apprezzato al di là del rettangolo di gioco. Forse proprio per questi motivi è a Bologna che vivrà una delle sue migliori stagioni in assoluto, oltre che a Brescia. Ma anche sulle sponde del Reno la stagione di Baggio inizia con delle difficoltà: il Bologna deve salvarsi, Ulivieri è allenatore senza troppi fronzoli e preferirebbe di gran lunga prendere un goal in meno che farne uno in più dell’avversario. Roberto si taglia il celebre codino, metaforicamente un addio a tutto ciò che era il suo passato, per proiettarsi al futuro prossimo e inizia un percorso di rinascita, di trasformazione per adattare le sue qualità al calcio moderno, il tutto per un unico e grande obiettivo: i Mondiali del ‘98 in Francia. E ci riuscirà, altro che se ci riuscirà: 22 goal in 30 partite, ottavo posto in campionato e qualificazione alla Coppa UEFA, ma la ciliegina sulla torta fu la chiamata in Nazionale da parte di Cesare Maldini. Nonostante un Del Piero in auge in quel periodo, fu Baggio il vero fantasista di quella squadra, mise a segno il rigore del pareggio all’esordio contro il Cile, oltre all’assist per Vieri, un altro assist per il goal di testa di Di Biago contro il Camerun e il goal vittoria contro l’Austria per il 2-1 finale su assist di Inzaghi.
Come canta Cesare Cremonini, grandissimo tifoso del Bologna, nella canzone Marmellata#25: “Ah! Da quando Baggio non gioca più non è più domenica” e per molti da quando Baggio ha lasciato la maglia azzurra anche la Nazionale non era più la stessa. Ci ha pensato un altro grande ex Bologna, Roberto Mancini, a far riemergere l’entusiasmo per i colori azzurri, che saranno attesi dall’Europeo del 2021 e siamo sicuri che Roby Baggio assisterà alle partite con la sua famiglia, gli amici di sempre e un buon bicchiere di vino.