Guerrero – foto raisport
Un bellissimo giorno d’autunno al Giro d’Italia, bellissimo perché vero, freddo sui 10 gradi, pioggia fine e persistente, pioggia che bagna fin dentro le ossa e colora di giallo e rosso le foglie che ancora resistono sugli alberi che circondano la Maiella, nuvole basse che accarezzano i visi e rabbrividiscono i corpi dei corridori che si coprono con le loro mantelline super tecniche, tutti o quasi.
Perché c’è anche Fabio Felline davanti al gruppo che tira e allunga i più forti verso Roccaraso, con un abbondante antivento addosso, le maniche corte che passano i gomiti come fosse una felpa con le maniche tirate su, e sotto probabilmente maglia e intimo estivo zuppo e sudato più che lo stesso antivento.
L’antitesi dell’amatore perfetto che in tutta Italia sfreccia sulle strade italiane pensando di essere un pro, ma senza esserlo, e facendolo notare già solo da come pedala.
Lo stile è stile, Fabio Felline non sembra averlo ma in realtà lo ha e ne potrebbe vendere anche un po’ a quei ciclisti che con troppa spavalderia percorrono i fondovalle italiani, tipo quello del Savena.
Felline è il perfetto Pro che indossa qualunque cosa, che se ne frega della sfilata, ma che difende il suo capitano tirando a tutta quando serve, in ogni condizioni, per la squadra per il capitano e per portare la pellaccia a casa.
Il suo Capitano si chiama Jacob Fulsang, non è vincitore della tappa di ieri, ma è quello che ne esce guadagnando di più, pochissimo, in un giorno autunnale già incontrato anche in altri anni, quando era primavera.
Lungo salite bellissime, nel selvaggio e incantevole Abruzzo, fatto di gente vera che ama la propria terra lavorando per lei con forza e pazienza, salite che farebbero la differenza alla terza settimana, lunghe e da spingere, quando da spingere non ce ne è più, corse alla fine della prima, come i big hanno deciso di correrle, non servono a molto, e anzi, sono state offese dagli stessi corridori.
Paura, pretattica, una staticità che diventa errore, in un anno pandemico, in un Giro che non si sa dove finirà, andrebbero corse tutte le tappe come fossero la tappa decisiva.
Joao Almeida rimane in maglia rosa perdendo qualche secondo nell’ ultimo chilometro, l’unico corso con il coltello in mano dai big di classifica, sorpreso e forse sfinito, ma fiero, e convinto di portare la maglia Rosa fino alla fine. E chissà non ce la faccia.
Vince Ruben Guerrero contro il più quotato Jonathan Castroviejo, che troppi davano già per vincitore, senza guardare la bellezza e la facilità della pedalata del ventiseinne portoghese, che con questa tappa porta a due le vittorie in carriera dopo i campionati nazionali del 2017 quando era alla Trek-Segafredo, ora capitanata da Vincenzo Nibali.
Guerrero della Ef Education First, squadra che oltre ad essere sempre in fuga e sempre presente nei momenti importanti della corsa, sta meravigliando per la sorprendente originalità della divisa disegnata da Rapha, divisa che ammalia lo stesso autore di questo lungo resoconto Gdello, che normalmente non ama la stravaganza, ma che quella maglia vorrebbe tanto indossarla.
Domani giorno di riposo e ci sarà da parlare di questi primi 9 giorni di corsa, di un Giro che si è corso con troppa voglia all’inizio e troppa paura nelle ultime tappe.
Un giro bello e apertissimo che vede un giovanissimo portoghese sognare di arrivare alla fine, e corridori esperti aspettare il momento giusto per portargli via la Rosa.
Ma capiranno quale è il momento giusto?
E se lo, avessero già superato?