Loredano Comastri
Una riflessione di Enrico Pasini sulla recente scomparsa dell’amico Loredano Comastri:
L’importante è pedalare
Una notte insonne, il cellulare bollente nelle mani, messaggi, vocali, telefonate, pensieri che si mescolano in testa mentre la batteria collassa passata la mezzanotte e spegne, almeno visivamente, la tristezza che non doveva arrivare, ma che sempre più si presenta lugubre nelle nostre vite.
Il cellulare dorme, è l’unico che trova riposo e ricarica, mentre le ore proiettate dalla sveglia sull’armadio scorrono impietose, richiamano la mia vista che rimane fissa su quei numeri rossi.
Notte insonne, eppure veloce, vola in un attimo e dalla finestra bussa la prima luce che invita ad alzarsi.
Pantaloni, felpa, esco nel gelo del terrazzo, il cielo verso est va a fuoco. Come frecce infuocate il sole lancia i suoi raggi, gli unici che potrà far vedere in una giornata triste, cominciata la sera prima dalla notizia che nessuno voleva ricevere.
Hanno ammazzato Loredano.
L’hanno travolto stamattina a Crespellano, mentre rientrava dal suo giro in bici. Stasera se ne è andato.
Il cellulare ribolle ancor più di ieri sera, messaggi, spiegazioni, idee, storiche foto di Loredano.
Un riferimento del ciclismo Bolognese come ha detto il mio amico Ale.
Un riferimento vero Loredano uno che era capace di stare con te mentre eri in crisi nera, oppure di lasciarti a cambiare da solo la camera d’aria perché se no si sfasava l’allenamento.
Da grande voglio essere come Loredano, ha scritto Cara Biga.
Anche io, anche se non farò più agonismo, anche se non gareggerò più, voglio arrivare ai capelli bianchi della pensione pedalando, faticando, sudando sulla mia bicicletta.
Il caffè scende bollente, mentre in automatico infilo gambali, giacca, copriscarpe, accendo le luci e sono già in strada, a pedalare.
Oggi più di ieri, bisogna pedalare, anche se il tempo è poco e gli impegni troppi.
Oggi bisogna pedalare!
Oggi, domani, sempre.
Poca gente in strada, sopra Savigno le prime chiazze di neve nelle colline più alte. A Ponzano sono a destra, sulla riga bianca, mentre il 657 diretto a Savigno mi sorpassa a folle velocità, quasi mi risucchia, alzo il braccio e lo mando a spendere. L’autista mi vede e suona il clacson.
Da quel momento mi stacco dalla riga bianca e mi metto verso il centro della carreggiata, e nelle due ore successive non lascerò più quella posizione.
Mi devono vedere, ci sono anche io, ci siamo anche noi, rimanere troppo a destra, quando la guida è a sinistra, rimanere troppo a destra quando i cruscotti delle nostre auto sono consolle da gamer, rimanere troppo a destra quando praticamente tutti lasciano il cellulare colpevolmente nel sedile a lato, rimanere troppo a destra, nascondersi dalla vista degli automobilisti. Rimanere troppo destra, stare sulla riga bianca, un errore storico.
Mi ribello, anche se ribellione non è, e non è dare fastidio, non è essere in mezzo, e sarà un caso ma da quel momento in poi nessuno mi suonerà più.
Giro intorno a Savigno e torno indietro, verso la pianura. Incontro di nuovo il 657, questa volta in senso inverso, il conducente non mi guarda, guarda di lato, e tira dritto, ma questa volta più lentamente.
Sono due settimane che non esco e non ho dormito, eppure pedalo sciolto, e più pedalo più sento dell’energia crescere in me.
La stradina stretta, dolce e sinuosa, che affianca il Samoggia e porta a Fagnano è deserta, ci sono solo io, che dal nulla urlo:
“Viva Loredano!”.
È un urlo spontaneo, energico, non c’è rabbia nella mia voce, è improvviso e improvvisa cresce in me, ancor di più, la voglia di pedalare.
Aumento l’andatura, passo Fagnano, Stiore, arrivo alla Muffa, passo dove Loredano ha fatto la sua ultima pedalata terrena cominciando a pedalare verso l’infinito, guardo i segni dei rilievi e una macchia scura proprio lì dove ieri era adagiata la sua bicicletta, mi faccio un segno della croce, e mi squilla il telefono. Non voglio fermarmi, ma senza accorgermene appoggio il piede a terra.
È Guido, proprio lui, proprio lì, cominciamo a coordinarci per salutare in modo speciale Loredano.
Prima di ripartire mi volto, guardo quella macchia scura sull’asfalto e mi faccio un altro segno della croce.
Riparto di scatto, neanche un chilometro e mi fermo al Santuario di Pragatto. La porta di legno è aperta, la vetrata chiusa. Busso, una signora dentro apre e mi spiega che stanno preparando la mostra dei presepi, sarà inaugurata nel pomeriggio e il Santuario resterà aperto nei prossimi weekend.
La ringrazio e ci salutiamo.
Riprendo a pedalare, senza più fermarmi mi perdo nelle stradine di campagna tra Calcara ed Anzola, torno indietro dal moderno stradone che porta in autostrada, mi rifugio nelle strade che portano a Bazzano e dalla città della Rocca dei Bentivoglio raggiungo Monteveglio, la passo e dalla Bersagliera salgo a Zappolino.
Senza affanno, senza fatica, con una voglia di pedalare grandissima e un’energia in costante aumento.
Quante volte i medici hanno cercato di fermare Loredano. Basta corsa, basta lunghi, basta sforzi. Lui si limitava un pochino e poi riprendeva, si reinventava e pedalava, ancor più di prima. Con ancora più energia. Energia nuova, rinnovata.
Ieri lo ha fermato una macchina, lo ha lasciato a terra. Lui è rimasto lì un poco, poi lo hanno portato in ospedale. È rimasto fermo finché ha resistito, poi è sceso dal lettino e senza dire niente è uscito dal Maggiore. Fuori aveva la sua bici, è salito in sella e ha iniziato a pedalare.
Perché l’importante è pedalare.
Viva Loredano!
foto di Enrico Pasini