Ieri sera (3 agosto, ndr) al Rufus Thomas Park di Porretta Terme è andata in scena la celeberrima opera pucciniana “La bohème”.
Si è trattato del decimo appuntamento annuale dell’incontro all’opera organizzato dall’Associazione Santa Maria Maddalena di Porretta in collaborazione con il comune di Alto Reno Terme.
Oltre 180 persone hanno assistito a questo importante appuntamento, partecipando ad un evento veramente speciale che ha visto veramente entrare in sinergia il territorio con la grande musica operistica.
L’opera “La bohème” per quanto possa sembrare nel suo complesso molto semplice dal punto di vista organizzativo invece presenta spunti e punti decisamente ostici e della grande complessità. Ovviamente stiamo parlando del secondo atto, con la presenza di coro, coro di voci bianche, una banda, comparse, una decina di cantanti solisti, eccetera.
Ma andiamo per ordine e ripercorriamo lo spettacolo visto ieri sera:
L’opera si apre con un primo atto (o meglio, quadro, secondo la terminologia più precisa), molto intimo e semplice. Il regista e scenografo Lorenzo Giossi presenta infatti una struttura scenografica ridotta all’osso che però possa permettere, sfruttando i vuoti di tale “scheletro” metallico, giochi di luce, passaggi dei solisti, etc.
I quattro protagonisti maschili sono quattro ragazzi scapestrati, forse anche un po’ viziati, che vivono la vita come se fosse un gioco eterno, a prescindere dai soldi e dalla povertà, cercando ogni mezzo per andare avanti e ignorare la realtà dei fatti.
Il tenore Vitaliy Kovalchuk, nel ruolo di Rodolfo, presenta un personaggio appassionato, lirico, preso da profondi sentimenti (anche d’amore per Mimi, ovviamente), un autentico poeta d’amore in tutto e per tutto, sia in ciò che scrive sia in ciò che esprime a parole con gli amici. Canta per tutta l’opera con grande passione e trasporto, sempre con “grinta” e forte lirismo.
Nel ruolo di Marcello, al posto di Marzio Giossi, ahinoi indisposto, abbiamo potuto ammirare Filippo Polinelli, baritono dalla presenza scenica indiscutibile e ammirabile. Per tutta l’opera saprà prendersi i suoi spazi vocali e scenici sempre con decisione ma anche gusto e garbo. Un timbro vocale omogeneo e morbido.
Colline, interpretato dal basso Luca Gallo è il filosofo del gruppo, ma come vedremo con Shaunard, invece sembra uno dei più giocherelloni e simpatici. Sarà che la presenza e il canto di Luca Gallo ci accompagnano cullati nell’opera ogni volta che prende scena. Ma sarà con la “Zimarra”, l’aria dell’ultimo atto che raggiungerà l’apice della sua preparazione vocale e scenica impeccabile.
Shaunard è indubbiamente l’anima della festa, il più giocondo e spensierato, ma anche colui che si inventa i modi più assurdi per trovare soldi per il gruppo. Lorenzo Barbieri, baritono, non sappiamo se sia così anche nella vita reale, ma saremmo tentati di crederlo vista l’estrema naturalezza sia di scena che di canto con cui porta e realizza questo Shaunard così allegro, felice e simpatico. Una voce fresca ma matura, sicura e pronta.
Prima di passare alle protagonisti femminili però analizziamo anche i comprimari e la “follia” del secondo quadro.
Nel primo atto abbiamo assistito alla piccola e divertente scena con il padrone di casa, Benoit, interpretato dal baritono locale Giacomo Contro. Una parte piccola, difficile dal punto di vista ritmico (come tutti i comprimari di Puccini, che spesso vengono “incastrati” in un solfeggio da far venire i capogiri) ma nella quale Contro si trova perfettamente a suo agio, sia vocalmente che scenico, senza cadere in “caccole” o vezzi tipici per questi ruoli buffi.
Ammirevole che il Contro non abbia voluto cimentarsi in ruoli più “alti” di quest’opera approfittando della sua provenienza locale, in quanto già impegnato come maestro di Palcoscenico, aiuto-regia, attrezzista etc, sicuramente voler strafare facendo ruoli più grossi lo avrebbe portato a non rendere al meglio come invece ha fatto con Benoit.
Altro comprimario spesso sottovalutato ma invece dalla difficoltà ritmico-musicale è Alcindoro, che nel secondo quadro deve riuscire a incastrarsi come un orologio meccanico nell’enorme complesso di ingranaggi pucciniani.
A riuscirci perfettamente è il baritono Enrico Totola che interpreta un vecchio Alcindoro in maniera frizzante, scenicamente ineccepibile, vocalmente sicuro e a suo agio.
Parlando del secondo quadro quindi: una follia scenica, ma di quelle belle, quelle follie che ci fanno veramente divertire.
Innanzitutto applausi scroscianti e meritatissimi al coro San Filippo Neri di Verona, preparato da Iris Composta.
Un coro (comprensivo di voci bianche) preparatissimo. Musicalmente una macchina da guerra, scenicamente dei “mostri” da palcoscenico, veloci, scattanti, divertenti, bravissimi. E un applauso aggiuntivo va a quei fantastici bambini, bravissimi e veramente ben preparati dalla loro Maestra.
Notevoli i quattro camerieri/comparse della compagnia porrettana “Delle Tele” che hanno aggiunto un bell’asso alla mano dello spettacolo verso il pubblico. Quattro attori che hanno saputo veramente giostrarsi nella “follia” generale, dando un apporto allo spettacolo indubbiamente unico.
E come non applaudire alla presenza della banda locale “Giuseppe Verdi” che ha interpretato il “Tamburo Maggiore”, che Puccini affidava realmente ad una banda? Veramente sono la rappresentazione di come Porretta sia la città della musica, dove i porrettani stessi partecipano facendo musica agli spettacoli anche di professionisti “foresti”.
Veniamo quindi alle due protagoniste femminili: partendo proprio dal secondo quadro del quale stavamo parlando, abbiamo Musetta: interpretata dal soprano Paola Cigna, ci viene presentata una Musetta spensierata, allegra, innamorata, gelosa ma anche coscienziosa, furba, intelligente e decisamente più matura del quartetto maschile protagonista. La Cigna interpreta con sapiente professionalità e tecnica questo ruolo, con un canto sempre fresco, leggero, ma che ci trasporta ogni volta.
Infine, ma ovviamente non per demerito, lei: la protagonista assoluta. Lucia, o meglio, come dice lei stessa “non so perché”, Mimí.
Mimí viene interpretata dal soprano Renata Campanella, la quale ci presenta un personaggio stupendo, dalle tante sfaccettature: allegra, innamorata, spensierata, ammalata e morente.
Ci fa ridere, pensare, innamorare e piangere con quel suo canto. Una tecnica impeccabile, che non brilla mai in un punto particolare, ma sempre. Ogni volta che canta. Ovviamente poi vi sono anche i momenti in cui veramente le lacrime scendono sia per la musica che per il canto che la Campanella ci porta sul palcoscenico, come ovviamente “mi chiamano mimi”, nel primo quadro, o il finale “sono andati” che innegabilmente e giustamente porta al “doveroso” pianto dello spettatore.
Giungendo alla fine di questa lunga analisi di questo grande spettacolo che ieri sera abbiamo potuto ammirare al parco Roma, possiamo veramente dire che questo è il primo, di una serie di traguardi che l’opera Porretta ha raggiunto. Il primo decennale che veramente segna, sancisce, e determina Con “prepotenza“ il fatto che a Porretta l’opera lirica c’è. C’è con professionalità, c’è con diligenza, c’è con passione, c’è con amore per la musica, per il territorio, e per tutto ciò che l’opera rappresenta.
Insomma un cast di cantanti di pregio e alto livello, guidati dalla più che sapiente bacchetta del Direttore, Il Maestro Stefano Giaroli. Che con la sua orchestra Terre Verdiane, ci presenta una Boheme fresca, unica, leggera e drammatica, densa e con vivo trasporto.
E il tutto in una regia, quella del Giossi, semplice, chiara, precisa e netta. Una lettura coscienziosa del libretto, delle sue origini, e che Giossi rispetta dalla prima parola all’ultimo punto.
Il tutto aiutato anche da un bellissimo e sapiente uso delle luci, a cura di Marco Ogliosi, e di costumi stupendi, freschi, coloratissimi (come devono essere) realizzati da Ilaria Giossi.
È l’ulteriore, indiscutibile inappellabile conferma che, per quanto vogliamo bene al soul festival, evento indiscutibilmente principe e fulcro della vita annuale Porrettana, non è l’unica cosa per cui Porretta brilla. Porretta (e tutto il comune di Alto Reno Terme) è veramente un paese in cui la musica è la spina dorsale della vita sociale.
Abbiamo festival barocchi, festival rock, PROG, jazz… E l’opera lirica.
Vi sono ancora persone che dicono che a Porretta ci sia solo il soul festival.
A questo punto ci chiediamo se queste persone siano cieche, sorde, vivano in un mondo tutto loro o parallelo…
O semplicemente siano in malafede.
Ignoriamo queste voci, ignoriamo queste persone. A Porretta, nell’alto Reno, la musica c’è, e sempre dovrà esserci.
Ad Majora.
Piero Sabattini