La Direttissima
TOC…
TOC…
TOC…
L’eco dei passi si è fatto più forte, da qualche istante in qua.
Così come il buio diventa sempre più intenso. Ma non è un buio che fa paura, almeno non a me. Non è un buio opprimente, anzi… merita rispetto, quasi fosse il varco per qualcosa di affascinante, ancora ben presente, nonostante gli anni trascorsi.
Nonostante il progresso, il futuro.
Scale di pietra e ferro, rigide e intrise di umidità, da affrontare con l’attenzione che necessitano, mentre i sensi sono all’erta, pronti a cogliere qualunque rumore che potrebbe distrarmi e il fascio di luce della torcia elettrica, portata saggiamente appresso nella discesa, si rivela una compagna insostituibile, illuminando sia pure fiocamente le pareti ed i gradini, che ancora scendono all’interno di un tunnel visibilmente inclinato.
Nessuna paura.
La voglia di arrivare in fondo affronta e supera il timore di scivolare e farsi male, così come il fascino che ogni dettaglio colto infonde nel cuore, scaldandolo e sostenendolo.
La vita è rimasta lassù, con i colori i rumori, gli odori.
Qui, il tempo sembra essersi fermato… no, più che fermato, pare sia sospeso. Galleggiando all’interno di una bolla, nella quale ho la fortuna di essere entrato, mentre ripenso all’accurato e appassionato lavoro di ricerca eseguito, prima di decidermi ad agire.
Sono quasi arrivato.
Più di mille scalini sembrano un’eternità, eppure… eppure non mi sono pesati per nulla. Sorrido, quasi senza rendermene conto, mentre scorgo una luce laggiù, sul sospirato fondo.
Improvvisamente, come un tuono potente e fiero, il frastuono sottostante mi blocca per qualche secondo: lo stridio dei freni che sferragliano, lo sbuffo del vapore che sfiata.
Abbandono la prudenza. Non dovrei farlo, lo so.
Non del tutto, per carità. Ma scendo i restanti gradini con quel tanto di fretta sufficiente a rompermi qualcosa, se mai dovessi perdere aderenza con i piedi.
Per fortuna non succede e riesco ad arrivare alla fine della lunga scalata, accompagnato dal brusìo delle persone a bordo delle carrozze, sovrastate poi dal fischio del capostazione che permette la ripartenza del convoglio.
Lentamente, ma con decisione, le pesanti ruote metalliche procedono lungo il binario e il gigantesco faro illumina la suggestiva Stazione delle Precedenze.
Una meta fantastica, che mi riempie il cuore.
Afferro la macchina fotografica che riposava sul petto fino ad ora e mi affretto a scattare qualche foto della partenza, senza troppo curarmi di settare l’obiettivo o verificare l’apertura del diaframma: qualcuna verrà senz’altro mossa, ne sono certo.
Il treno ha acquistato velocità, infilandosi nuovamente nella galleria, abbandonando la stazione alla sola luce dei lampioni sulla banchina e della pensilina, dove si può attendere e comprare i biglietti fino a Firenze oppure per Bologna, a seconda della preferenza o della necessità.
Nessuno a salire le scale nella direzione contraria alla mia, per salire fino a Cà Di Landino.
Solo il Capostazione si accorge della mia presenza e mi lascia un’occhiata di curiosità, prima di svanire completamente nel buio.
In un attimo, anche le luci dei lampioni si spengono, facendo tornare il buio e riportando tutto alla realtà, compreso il sottoscritto.
Mi aggrappo ancora all’esperienza appena vissuta, ai ricordi che non mi appartengono: i lavori di costruzione, i progetti, le difficoltà, l’inaugurazione, i volti soddisfatti delle autorità, degli addetti ai lavori e persino dei passeggeri.
Ricordi lontani, testimoniati dalle fotografie in bianco e nero e dai modellini in scala che ancora è possibile ammirare, passeggiando nel bel museo di Castiglione Dei Pepoli, dedicato non solo al Tunnel della Direttissima, ma anche ai mestieri, alle tradizioni, alla storia e, purtroppo, alla guerra in Appennino.
Mi spiace che debba accadere, ma non posso farci nulla.
L’esplorazione deve terminare, ne ero conscio fin dal primo scalino. È stata una bella avventura.
Un’esperienza che porto nel cuore, senza averla vissuta.
Ma il bello è proprio questo e lo colgo nel momento in cui torno alla mia realtà, lasciando per un momento la creatività che mi ha permesso di effettuare quel sopralluogo e arrivare alla stazione dimenticata, ora illuminata solo per qualche attimo dai treni moderni che sfrecciano e passano, in una direzione o nell’altra.
Una fugace visione da parte di chi è abbastanza entusiasta di percorrere a ritroso il tempo e vincere la barriera della razionalità.
Non occorre essere scrittori, per questo. È sufficiente ascoltare la propria fantasia, il cuore e guardare oltre, come molti facevano solo da bambini ed hanno tristemente dimenticato.
La stazione è ancora lì. Gli scalini ci sono ancora.
Troppo pericolosa per raggiungerla dal vero. Troppe autorizzazioni, troppi rischi.
Ma con la mente si può fare qualsiasi cosa, proprio come ho fatto io, scrivendo tutto questo. Donandolo a chi ha ancora la voglia di guardare oltre i propri occhi ed esplorare i tesori che il nostro Appennino storico e passato ci offre.
Una fugace visione da un treno in corsa, tanto per iniziare. Un museo guidato da un bibliotecario cortese e competente, appassionato del territorio e della vita in questi luoghi senza tempo, per proseguire.
Non è così faticoso come sembra.
Non è così impossibile come si dice.
Non servono le autorizzazioni, per la creatività.
Basta solo la voglia di tuffarsi nel passato e immaginare come fosse, senza dimenticare tutto quello che è arrivato sino a noi, le testimonianze i documenti. Memorie che davvero possiamo fare nostre, tramandando l’eredità nei decenni, nei secoli chissà.
Solo così potremo visitare la Stazione delle Precedenze, entrare nei locali dei tecnici, sedere sulle panchine per attendere il nostro treno e percorrere quei 1863 scalini, diventando fieri testimoni di una vita che fu.
Di una grande opera ferroviaria, simbolo di comunità e progresso.
Non uno scorcio veloce, nella lunga galleria. No, non solo questo.
L’opportunità di una grande avventura, invece. Di essere nuovamente parte di qualcosa di importante.
Non è così difficile come sembra e se vi impegnerete a fondo, forse la fortuna vi darà una mano, facendo arrivare quel sottile raggio di sole che, solo una volta all’anno (si dice…) riusciva a farsi largo nel buio fino in fondo, portando un cordiale saluto al Camerone sotterraneo e rendendo meno pesante il lavoro di quella giornata.
Foto da internet