Ammetto che non accade spesso che gli incontri con imprenditori riescano a coinvolgermi completamente o addirittura a infondermi un senso di consapevolezza migliore rispetto al mondo che mi circonda, sia pure nel mio piccolo, regalandomi profonde riflessioni su quali siano i problemi con cui certe realtà siano costrette a confrontarsi ogni giorno e con quanto coraggio e voglia di fare, tali problemi vengano comunque affrontati, nonostante un futuro assolutamente incerto e nonostante, a volte, il senso di essere lasciati soli e lo sconforto paiano prendere il sopravvento.
La conversazione con Claudio Tedeschi è stata, sotto molti aspetti, illuminante.
Convinto di trovarmi di fronte un businessman come tanti, che ha sì costruito una realtà lavorativa unica in Europa ed in Appennino (riqualificando, anche concettualmente , non solo industrialmente, un’area enorme e completamente dismessa, come quella della Cartiera di Marzabotto), ma che ritenevo badasse, come spesso succede, al bilancio e ad interessi pressoché finanziari, mi sono invece ricreduto, conoscendo un uomo di grande coraggio e soprattutto di grande umanità, impegnato da sempre nella non facile sopravvivenza di un’azienda come la Dismeco che, pur continuando a ricevere premi e riconoscimenti a livello internazionale (è del 2020 il premio come caso di studio nel mondo conferito dall’ International Waste Group), fatica enormemente ad incrementare la propria attività, nonostante le oggettive esigenze nel senso più stretto del termine, la gestione di questa tipologia di rifiuti, lo richiedano oggettivamente.
Impegnata ormai da dieci anni sul territorio dell’Appennino nello smaltimento di rifiuti tecnologici, con finalità di recupero e non distruttive, Dismeco ha sempre posto grandissima attenzione sulla valorizzazione del territorio, sullo sviluppo tecnologico nell’ambito del recupero di RAEE (rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche), senza trascurare la tutela dell’ambiente e del possibile ampliamento occupazionale.
Tuttavia, la sua identità privata ha sempre avuto come conseguenza una sorta di appelli non ascoltati da chi avrebbe invece dovuto sostenere un’impresa con enormi potenzialità, riconosciute in tutta la comunità europea e non in patria.
Claudio Tedeschi – AD Dismeco
“Il problema più grande è il mancato arrivo del materiale.” commenta Tedeschi “E’ assurdo come lavatrici e altri prodotti che devono essere smaltiti e si trovano a pochi chilometri di distanza nel sul territorio, siano invece inviati presso altre regioni, come ho fatto presente più volte. Non essendo noi un’istituzione pubblica ma un’azienda privata, abbiamo sempre grandi difficoltà nello svolgere quello che, però, è di fatto un servizio pubblico, rivolto in ultima istanza anche al benessere dei cittadini.”
Un problema che ha minacciato più volte la chiusura dello stabilimento di Lama di Reno, tanto da far tornare Tedeschi nel ruolo di direttore e amministratore delegato, dopo aver lasciato il suo ruolo qualche anno addietro.
“Il mio pensiero ed i miei sforzi vanno completamente allo sviluppo di questa azienda, che ha grande lungimiranza e alla salvaguardia delle venticinque famiglie che hanno trovato sostentamento economico. Parliamo di personale addestrato, formato e qualificato. Insisto da sempre, nella mia lotta di lavorare con materiale del territorio, scontrandomi, soprattutto negli anni passati, con l’indifferenza delle istituzioni e con un sistema politico che ci ha sostenuto all’inizio, quando vi era da rilevare una cartiera abbandonata, ma che ora ci ha lasciati completamente soli. Inutile dire che, fare impresa a queste condizioni è davvero arduo.”
Le riflessioni di Tedeschi colpiscono duramente, per lo sguardo preoccupato ed a tratti deluso con le quali vengono pronunciate, ma che non vuole perdere la speranza per un domani migliore, conseguenza della necessità di aderire a concetti operativi di vera transizione ecologica.
Al tempo stesso, la mia ammirazione va a questo imprenditore, che sta cercando davvero di fare l’impossibile per mantenere in vita una realtà pionieristica ed avanzata sotto molti aspetti, che non manca di proporre attività e laboratori didattici per le scuole sul tema della sostenibilità, che ha creato dal nulla un laboratorio presso le Carceri di Bologna e che ha dato il via all’interessante progetto MDR (Medical Device Regeneration) come aiuto alle strutture sanitarie durante la pandemia da Covid-19; progetto unico al mondo, ideato in collaborazione con la Bologna Business School, che si propone di recuperare appunto piccoli apparati e pezzi di ricambio dai dispositivi medici elettronici ormai in disuso, per recupero o riparazioni varie, nel corretto procedimento di riciclo, garantendo così una maggiore disponibilità delle attrezzature stesse sia negli ospedali pubblici che nelle cliniche private, con conseguenti minori tempi di attesa per visite e prestazioni di ogni tipo.
Tedeschi ha mostrato senza esitazione l’uomo che è ben presente accanto all’imprenditore e di questo lo ringrazio sentitamente. Non è facile mantenere l’equilibro tra coscienza e affari, specialmente in anni già difficili per qualsiasi tipo di realtà lavorativa. Tedeschi si concentra sul futuro della Dismeco, non dimenticando l’umanità di chi crede in ciò che ha costruito e fiero dei risultati raggiunti, assieme alla propria “famiglia allargata” dei dipendenti che continuano a credere nel medesimo rifiorire dello stabilimento.
Con il “brand” “Borgo Ecologico”, contenitore di numerose iniziative con le quali si declina la sostenibilità ambientale, e con la presenza di una struttura all’interno, il cui stile architettonico è molto probabilmente attribuibile all’opera di Pierluigi Nervi (autore della Sala Nervi in Vaticano) Dismeco rappresenta un’eccellenza non solo del territorio, ma a livello internazionale ed è di vitale importanza che il suo lavoro e le idee progettuali innovative, che costantemente trovano il consenso delle più importanti istituzioni mondiali, riescano a far breccia anche nel meccanismo lento di un sistema nazionale ormai antiquato e vittima di troppi cavilli ed ostacoli che rallentano la corsa al merito di un fiore all’occhiello dell’Appennino Emiliano.