Una mattina d’autunno, con il sole che ancora scaldava, un uomo e la sua cagnolina hanno fatto un giro in montagna, un anello più prezioso di un vero gioiello.

A La Cà le nuvole avvolgevano l’autunno cancellando i colori sgargianti della dolce morte, accarezzando i castagni e facendo cadere i suoi frutti che ricoprivano cosi boschi e strade di gialli ricci.

Dopo Cà Berna il sole cominciava a filtrare tra le nuvole rendendo la strada un lungo filo bianco legato indissolubilmente alla montagna. Dopo RioRí le nuvole lasciavano spazio al cielo azzurro e il bosco si accendeva dei colori più caldi.

Così, al Tornante tra l’ottavo e il nono chilometro, fermavo la macchina e scendevo per una foto. La piccola Kiki non era contenta ma non potevo rinunciare a fermare un momento che ogni anno, in questa stagione, e in questa posizione, riesce a regalare vere e proprie opere d’arte.

Con calma proseguivo per il Cavone, parcheggiavo, facevo scendere la piccola Kiki e insieme andavamo alla fontana a riempire la borraccia.

La Croce ci stava aspettando.

Salendo lo spettacolo del drittone del Cavone mi aveva come sempre estasiato. Illuminato dal primo sole l’antico circolo glaciale rimbalzava i piccoli e deboli raggi verso valle decorando i faggi di bronzo vivo e donando loro un’autorevolezza sovrana.

Ma era tempo di camminare e la Kiki scalpitava per poter essere lasciata libera.

La sorgente del Cavone, nonostante l’estate calda, sgorga sempre acqua limpida e fresca.

Fermi appena partiti, slegavo subito la Kiki e la lasciavo libera. Non si dovrebbe, ma questa piccola cagnolina è così brava che mi fido ciecamente di lei. Mentre lei beveva, e io riempivo la borraccia, tiravo fuori la macchina fotografica dallo zaino per metterla a tracolla.

Un flash mentale mi scuoteva.

Aprivo il vano della batteria e lo trovavo vuoto. Lasciata in carica, al caldo, a casa. Riponevo la fotocamera nello zaino un po’ incazzato, prendevo la borraccia e partivamo verso la valle del Rio Piano, o del silenzio o dei Principi. Alla fine l’avrei usata solo come cannocchiale e per le foto avrei usato il cellulare.

Soli, io e la Kiki, mentre il bosco d’autunno si specchiava come Narciso nell’acqua del laghetto, cominciavamo a salire lungo il ripido sentiero che porta all’antico circolo glaciale.

Il sentiero si inerpica subito nel bosco di faggi, sale pendente tra tratti dritti e tornantini a scalini. Kiki felice saltava di sasso in sasso, usciva dal sentiero lo tagliava e tornava indietro verso di me.

Non sembrava un cane, ma un capriolo.

Incontravamo una coppia di giovani con uno stupendo terranova, anche lui libero.

Kiki sterile, lui appena castrato, entrambi perplessi dall’incontro inatteso si facevano comunque coinvolgere dall’istinto che nessuna operazione può cancellare. Si annusavano dolcemente e dolcemente si salutavano.

Proseguivamo con il passo di Kiki che personalmente mi sembrava esagerato, la richiamavo più volte ricordandole che di strada ce ne era da fare, nel mentre un signore ci sorpassava di buona lena bacchette in mani quasi correndo. Con un po’ di invidia lo guardavo e mi ripromettevo di tornare in forma. Stavo sudando troppo, ed eravamo appena partiti, forse anche Kiki nella sua esuberanza stava esagerando. Era un continuo entrare ed uscire dal ruscello che scorreva poco sotto di noi. In realtà la mia era solo speranza, lei si stava solo divertendo, stava giocando nella spensieratezza dei suoi 4 anni. È poi solo una giovane cagnolina adolescente.

Il sentiero che sale verso la Valle ad un certo spiana, attraversa un paio di volte il ruscello con solidi ponticini che naturalmente Kiki non utilizzava, guadando divertita l’acqua fresca.

Ad un certo punto il bosco finisce e come ci fosse una porta aperta la valle appare alla vista. È sempre un’emozione arrivare qui, ed entrando nella valle del Rio Piano, o del Silenzio, o dei Principi, come l’ho sentita chiamare da tanti, è impossibile non sentire un’ondata di tranquillità che ti avvolge e calma la fatica della scalata e le ansie del mondo globalizzato.

Davanti a me vedevo erba color arancio bruciata dal sole estivo, e portata allo stremo dentro l’autunno, e le rocce del vecchio circolo glaciale che come spalle possenti reggevano la montagna.

Dovevo ancora entrare nella valle mentre Kiki, esuberante ed estasiata anch’essa da tanta libertà, correva già nell’erba tra le pozze di una lontana pioggia e il ruscello che uscito da poco dal ventre della montagna correva già verso il Cavone.

Era il tempo di fermarsi un attimo, e contemplare la pace della valle.

Il sole era ancora basso e non riusciva a filtrare i suoi raggi dentro il circolo, rendendolo ancor più austero ed antico.

Il signore che ci aveva superato correndo, agile e veloce si dirigeva verso i balzi, Kiki correva di pozza in pozza entrando ed uscendo dal Rio, infangandosi con gioia la lasciavo fare mentre ammiravo la Croce di Punta Sofia illuminata dal sole alle sue spalle. Non vi era un filo di vento, l’aria pizzicava di umidità ma non faceva freddo, l’arancio dell’erba bruciata rendeva la valle un piccolo paesaggio scozzese da film, con il solo rumore del Rio, oltre che i passi veloci ma eleganti della piccola Kiki.

Lei mi guardava cercando di capire dove andare, e io, dopo averla presa in giro un poco cominciavo a salire verso la Porticciola. Davanti per poco, subito superato dall’esuberante cagnolina.

Davanti a noi la montagna saliva dritta lungo il ripido pendio affianco al bosco. Kiki correva tra le rocce asciutte che di tanto in tanto ospitano abeti solitari che come vedette sorvegliano la valle. Andava avanti e tornava indietro assicurandosi che fossi presente e poi ripartiva di corsa lungo il sentiero. Tenevo il suo passo ricominciando a sudare, sapendo di sbagliare a non rallentarla, ma facendomi trasportare dalla voglia e dal piacere di fare fatica, una voglia che solo un ciclista può comprendere ed accettare.

Dietro di me il primo raggio di sole filtrava nella valle tagliando in due il bosco tra luce e tenebre. Mi giravo per ammirare la valle dall’alto prima che il bosco mi coprisse la vista. Kiki ferma di fianco a me, anche lei assorta nell’ammirare i colori dell’autunno che il sole pian piano accendeva.

Indomabile. Avanti e indietro, su e giù, una sbirciatina dentro al bosco e poi di nuovo di corsa lungo i piccoli balzi che portano alla Porticciola. Stare dietro alla piccola Kiki nei tratti più duri stava diventando sempre più faticoso. Mancavano pochi metri per attraversare la Porticciola e sbucare sulla pista tra le Rocce e la Croce e il tratto più duro doveva ancora arrivare.

La Porticciola era davanti a me, come una vera e propria porta faceva entrare in un altro scenario dove il sole dominava e l’ombra si sarebbe rivista solo a tardo pomeriggio.

Kiki era sparita dentro la mirtillaia che da poco aveva finito di donare i suoi piccoli e deliziosi frutti.

Ah no, ecco la sua testolina sbucare tra le rocce, a controllare che se ci sono ancora e magari a chiedersi: “Ma quanto va piano il mio padrone?”

La Valle era sotto di noi, la Croce poco sopra, ma con quel poco che era ancora tutto da sudare. Davanti lo Spigolino, a destra sua maestà il Cimone e a sinistra il Cupolino e lo Scaffaiolo. A Nord la pianura Padana era sommersa da un mare di nuvole e i monti della Riva, colorati dall’immenso pittore che è l’autunno, con un sontuoso tuffo, ci si buttavano dentro.

Kiki ferma, indecisa se scendere alla Rocce o salire verso la Croce. La indirizzavo verso la croce e correndo cominciava ad aprirmi la strada verso la cima del Monte di Bologna.

La Croce sembrava ancora lontanissima, almeno per me, eravamo già saliti tanto, più di 300 metri di dislivello in poco più di tre chilometri di strada. Camminavamo sulle pianti di mirtilli in un piccolo sentiero aperto dai viandanti. Kiki era sempre più estasiata e incontenibile, correva su, deviando sempre verso la valle a noi sottostante. Mi faceva paura, ma lei sembrava sapere il rischio che correva e appena vedeva il vuoto sotto di lei si arrestata. Ogni tanto riusciva nell’erba a scendere un poco, io gli urlavo e lei quasi con un sorriso sul muso tornava subito verso di me divertita.

La Valle anche da qui era stupenda. Eravamo sempre più in alto, il panorama sempre più bello, con il mare di nuvole a fare da sfondo al rosso granata acceso dell’autunno in Appennino.

Le nuvole sommergevano tutto, ma guardando verso est si poteva notare una piccola isola. Solo un monte da quella parte poteva essere così alto da bucare il mare di nuvole. Era sicuramente Montovolo. Oppure meglio era Monte Vigese ma per me era Montovolo.

O forse era il mio sogno di bambino. Era l’isola che non c’è. Montovolo era l’isola che non c’è. L’isola che non c’è esisteva davvero.

Tenevo guardato Montovolo come ipnotizzato, solo l’avanti e indietro di Kiki mi distoglieva da quell’isola in mezzo al mare di nuvole. Ormai la Croce era a pochi passi, il sentiero dalla Porticciola, seppur più tenero e meno tecnico dei Balzo dell’ora, era più lungo e in certi tratti anche molto pendente. In quell’ultimo tratto, con il ritmo che Kiki mi aveva fatto sostenere, la stanchezza cominciava a diventare pressante. Alzavo lo sguardo per guardare la Croce, Kiki correva verso di me e allora mi girai indietro.

Avevamo praticamente percorso tutto il bordo alto dell’antico circolo glaciale, le sue rocce anziane piene di rughe ci avevano sorretto fin in quel punto. La Riva era ancora più rossa che alla Porticciola, l’erba e le mirtillaie più arancioni e il Cimone ancora più imponente e maestoso faceva da costiera al mare di nuvole che con delicata forza si addentrava ancor di più dentro l’Appennino.

Ricaricato da tanta magnificenza non mi accorsi neanche che avevo già ricominciato a camminare e che Kiki era a pochi scalini da Punta Sofia e dalla nostra Croce.

La Croce del Corno è in realtà la Croce di Punta Sofia, la si vede dalla Porrettana splendere al sole alla fine dei Balzi, o dal Cimone come cima lontana e amica. La Croce non è il Corno alle Scale, e non è il punto più alto. Il Corno alle Scale è qualche centinaio di metri più a sud e supera di qualche metro Punta Sofia.

Come Kiki superava sempre di qualche metro, già dal Cavone, il mio andare. Eccola Kiki sotto alla croce, guardarmi soddisfatta aspettandomi scodinzolante nel silenzio della Montagna.

Non eravamo i primi ad essere arrivati a Punta Sofia, una coppia di ragazzi ci avevano preceduti. Lui e lei erano partiti alle 6 da Ferrara, alle otto e venti erano arrivati al Cavone ed erano subito saliti dalla Valle del Rio Piano e poi dai balzi dell’Ora. Era la prima volta che salivano al Corno e volevano dirigersi verso il lago Scaffone. Mentre Kiki gli faceva una gran festa, guadagnandosi anche un po’ di acqua in premio, io li correggevo sul nome del lago, che non era Scaffone ma Scaffaiolo, spiegandogli come arrivarci e che anche io e Kiki avremmo fatto quella strada.

Kiki impaziente mirava già verso lo Stroffinatoio, e io non potevo far altro che assecondarla, salutare i ragazzi e partire. Al Corno però una sosta era d’obbligo ancor più che alla Croce. Eravamo in cima e se verso la Toscana il sole illuminava la foschia rendendo tutto lucente, verso l’Emilia il Cielo sosteneva la montagna.

Mi sedetti sotto la rosa dei venti ad ammirare quel meraviglioso quadro, dove la Croce appariva il trampolino su un mare di nuvole. Kiki si sedette di fianco a me, pochi secondi ed era già quattro zampe saltellante verso lo Stroffinatoio.

La discesa è molto più faticosa della salita.

È sempre così in montagna anche se spesso non appare. Prendevo ogni passo con attenzione anche se il sentiero non era particolarmente difficile tranne qualche passaggio tra massi e radici. Kiki, come faceva ormai da quasi due ore, mi precedeva, ma quando ormai mancavano pochi metri allo Stroffinatoio, la richiamai. Sapevo che ci sarebbe stato un salto molto difficoltoso da fare per lei, e volevo metterla al guinzaglio per guidarla. Lei arrivò subito da me e io mi guardai tra le mani. Il guinzaglio non c’era. L’avevo lasciato sotto la rosa dei venti al Corno. Mi girai e ordinai a Kiki di seguirmi. Lei rimaneva immobile, guardava avviarmi nuovamente in salita con gli occhi che mi dicevano quanto ero scemo. Rimase ferma svariati secondi poi, ad un mio secondo richiamo, sconsolata mi superò e riprese la salita.

Lo Scaffaiolo si allontanava invece di avvicinarsi, ma noi lo tenevamo sempre in vista lungo l’imprevista risalita verso il Corno.

Il guinzaglio era ancora lì dove lo avevo lasciato, una volta preso mi girai subito e cominciammo a scendere. Kiki aveva capito e riprese subito la strada che aveva percorso già due volte. La montagna si stava popolano, alla Croce si vedevano 4 persone e dallo Stroffinatoio due amici salivano veloci e senza fiatone, parlando.

Come prevedevo Kiki arrivò al salto e si fermò. Cercava di capire dove passare e la tolsi subito dall’imbarazzo. Scesi io, mi girai, la presi in braccio di sorpresa e la rimisi a terra. Un attimo sbalordita ci mise pochi secondi a riprendersi e correre di nuovo lungo il sentiero.

Nel bivio per il Cancellino una compagnia di ragazzi si chiedeva se il Sassetto fosse veramente chiuso.

Si lo era. E da anni. Forse gli ultimi che lo avevano abitato eravamo stati noi giovani de LaCà che lo prendevamo in affitto ogni 10 Agosto per andare a vedere le stelle. Ricordi meravigliosi e indelebili.

Li salutami mentre Kiki scalpitante voleva proseguire.

Lungo il sentiero prima del Passo della Calanca c’è sempre stato un rivolo d’acqua che lo attraversa. In questo 2021 non c’era più ma Kiki trovò subito la sorgente che lo formava. Sputava fuori acqua fresca ma a tratti, la poca pressione a fatica la faceva uscire dalle viscere delle terra, ma quel poco gli bastava.

Era caldo, il giubbotto era stato tutto il giro nello zaino ma al passo della Calanca o dei tre termini, confine storico da sempre di Ducati e grandi Imperi, e ora delle province di Bologna, Modena e Pistoia, il vento faceva passare una nuvola carica di umidità mentre passavamo noi. Un bello sbalzo che non rovinò comunque ne il nostro giro, ne la nostra salute perché già all’ombra del Cupolino il caldo era tornato a scaldare.

Eravamo a pochi passi dallo Scaffaiolo, Kiki faceva la festa a due ragazze che andavano verso lo Stroffinatoio, pronta a mettere i piedi nelle perenni acque del magico Lago.

Praticamente si tuffò dentro il lago, felice come una bimba il giorno di Natale, indecisa se salire il sentiero che portava al rifugio, appena vide l’acqua si indirizzò verso il lago e si bagnò, poi come a ringraziarmi corse verso di me, sorridente.

Il giro del Lago è obbligo ogni volta che salgo quassù, erano già passate le 11 e lo Scaffaiolo era animato, tanti giovani, come quelli che avevo incontrato in questo giro. Una meraviglia.

Mi sedevo nei tavoli del rifugio per allacciarmi gli scarponi, Kiki vicino a me a cercare protezione da altri cani un po’ invadenti.

Era ora di scendere, verso le Malghe e poi verso il Cavone, con un po’ di malinconia, come ogni volta che lascio la cima di questi monti.

Prima di scendere guardiamo dall’alto il mare di nuvole che sommerge la pianura, il tricolore sventolava dolcemente accompagnato da un dolce alito di vento, ed allo Scaffaiolo è molto raro trovarlo così dolce. Il mare ci si ripresentava davanti appena imboccata la strada verso le Malghe, facendo diventare la discesa una piacevole visione.

Come cambia la montagna guardandola dall’alto e guardandola dal basso.

È sempre la stessa, ma così diversa.

Sono punti di vista differenti, ma che non cambiano la sostanza dell’essere.

Come nella vita, punti di vista diversi, che vedono una prospettiva in altro modo ma che comunque non la cambiano.

La Montagna è vita, viverla camminando è scuola di vita.

Eravamo quasi alle Malghe e la valle tra Sasseto e Scaffaiolo si apriva ai nostri occhi. Kiki correva lungo la strada mentre ammiravo le nuvole in cielo giocare tra loro e scherzare con il sole, creare quadri sempre diversi accendendo e spegnendo i verdi, trasformando il giallo in grigio, l’arancio in amaranto. Poche decine di minuti prima eravamo in cima, ora 300 metri sotto, quasi a toccare il mare di nuvole.

Il rifugio delle Malghe era chiuso, stanco, dopo una bellissima estate, dopo una bruttissima Pandemia, non ancora finita che spaventava e spaventa ancora, chi vuol esser spaventato. Chiuso, a riposo, un giusto riposo, affascinante, era quel giorno ultimo confine tra cielo e terra, ultima torretta di avvistamento prima del mare bianco.

Una carezza, un arrivederci, confidando in un inverno diverso dagli ultimi due. E di nuovo in cammino verso le Polle.

Kiki cominciava a rallentare, la stanchezza si faceva sentire anche per lei, nonostante tutto però rimaneva davanti a me di qualche metro. Alla sorgente poco prima di entrare nel bosco un bellissimo terranova la faceva passare annusandola dove Kiki non voleva. Un sorso veloce ed era subito di fianco a me che camminava guardandosi le “spalle” per essere sicura che il terranova non la importunasse. Dentro al bosco di faggi l’arancio dominava, le foglie cominciavano a cadere stendendo un colorato tappeto sulla strada aprendo quelle che nel resto dell’anno sono vere gallerie naturali che danno sollievo dal sole o proteggono dalla pioggia.

Eravamo quasi sulla strada erano gli ultimi passi liberi per Kiki che già guardava al  guinzaglio.

L’asfalto era a pochi passi, dopo quasi tre ore di sentiero tra valli e cime del Corno eravamo giunti sulla strada che ci avrebbe riportato al Cavone.

Al centro della Pista da Sci Alberto Tomba ci eravamo fermati un attimo e ci eravamo girati a contemplare la maestosità dello Spigolino e gli splendidi colori dei Boschi poco sopra la valle del Dardagna.

Anche Kiki era ipotizzata da tanta bellezza, e neanche si accorse che gli avevo già legato il guinzaglio alla pettorina.

Pochi passi dalla macchina, Kiki tirava come un ossesso, come sempre nonostante non ami andare in macchina la paura di essere abbandonata prevale su quella a quattro ruote.

Il parcheggio del Cavone era pieno di auto, il bel tempo aveva portato su tanta gente desiderosa di respirare aria sana e rifarsi gli occhi con gli splendidi dipinti che Appennino ed Autunno disegnano insieme.

Il piacere di vedere tanti giovani camminare in montagna mi aveva riempito di speranza.

Noi eravamo arrivati, abbastanza stanchi ma felici, un giro al sole, camminando ad un passo dal cielo e sopra un mare di nuvole.

Un anello bellissimo, quasi 10 km camminati e vissuti con la pace che solo la montagna e il Corno alle Scale riescono a trasmettere.

 

 

Foto di Enrico Pasini

 

 

 

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