Scalando Pietracolora. In bicicletta, come altre 100 volte, ma mai uguale. Soprattutto questa volta.

Scalandola da fermo, quasi, praticamente, improvviso un crollo, appena iniziata la salita.

Dopo due ore ottime, con gli amici di sempre, a ruota alle loro trenate, lungo la tortuosa strada che collega Ferrara a Pistoia.

Forse ho esagerato a stare con loro?

Forse.

O forse no.

Boh.

A Marano, da solo, tornantino sulla vecchia Porrettana, inizia la salita e cuore a palla, gambe vuote, doloranti, testa leggera e stanchezza completa. Non si superano i 10 all’ora, si va anche di meno.

E allora…

Bisogna sempre accettare quel che succede e godere di quel che si può.

Montovolo nell’autunno sempre in vista, la colorata Valle del Reno dall’alto e la Torresotto di Pietracolora, piccola piccola, diventare prima obbiettivo e poi grande davanti a me, in cima, insieme al monumento a Roberto Vitali, emigrante dell’Appennino morto in miniera a Marcinelle nella strage del 1956.

Un monumento in onore agli emigranti dell’Appennino, un monumento a tutti gli emigrati e un monumento perché no, a tutti i morti sul lavoro del mondo. Un monumento semplice, nascosto e così attuale da farmi cancellare tutta la fatica e tutta la fatica di una scalata mai così faticosa, mai così lenta, mai così sofferta.

Una sofferenza mai provata, mai che riguardando le foto mi fa capire che in bici, la sofferenza, anche la più lenta e dolorosa, viene sempre ripagata.

 

Foto di Enrico Pasini

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