UNA SETTIMANA FA….
È la strada più bella verso il Corno Alle Scale, rimane precisa tra Modena e Bologna, sconfina varie volte i loro confini, li cavalca e li percorre attraversando borghi, campi e selve che la rendono unica.
Non è la Porrettana, non è il Fondovalle del Panaro, si attraversa la Valsamoggia, si oltrepassa Savigno e si comincia a salire verso Santa Croce.
Per chi soffre la macchina e non ama le curve forse non è l’ideale, ma per chi va in bici o magari in moto è il percorso più divertente, panoramico e meno trafficato che ci sia per raggiungere la più alta montagna Bolognese.
L’ho scoperta nei periodi della varie zone colorate di caldo, quando chi non era proprietario di seconde case non poteva salire verso le case di famiglia, e quando in auto non si potevano oltrepassare i confini comunali, ed invece in bici si poteva arrivare ai bordi della regione pedalando in qualunque provincia. Un privilegio sfruttato, e goduto appieno per arrivare velocemente ai piedi del Corno Alle Scale.
Domenica mattina dopo Ferragosto, a Zappolino non è ancora sorto il sole ma il cielo risplende già di un azzurro intenso. Sembra abbia rinfrescato ma in realtà l’aria è calda e le prime Pedalate verso Savigno non soffrono il freddo.
Il primo raggio di sole spunta tra Ponzano e la sua chiesa, la palla rossa incandescente sale tra Monte San Pietro e Montemaggiore e solo io e un ciliegio solitario l’ammiriamo e ne godiamo della sua bellezza.
Con pedalata lenta ma controllata supero Savigno e mi dirigo verso Goccia Cavara, affronto con fatica lo strappo che porta in Via Malcantone e mi riaffianco al secco Samoggia. Attraversato Goccia Cavara, tolgo la corona grande e adagio la catena sul 36. Comincio a salire seriamente, Santa Croce non lascia spazio al riposo, prima con i suoi tornanti in mezzo al bosco, poi un piccolo riposo con una leggera discesa dove due ciuchini, Pioggia e Nuvola, guardano un “sumarnaz” passare in bicicletta e poi con i suoi drittoni tra i campi che portano nel vecchio borgo che qualcuno con attività agricole cerca di tenere in vita.
I cartelli arrugginiti e bucati da spari che indicano la località, il vecchio bar diroccato, e le case dall’intonaco deteriorato, portano dentro ad un mondo che non c’è più ma che sicuramente ha dato tanto. Come a Zola il grande ingranaggio rosso di Martani della Rotonda Viro è monumento che indica il passaggio tra l’era agricola e l’era industriale, anche queste opere ormai in disuso sono per me monumento di un tempo che appare finito ma che speranza e attaccamento alla propria terra, torneranno a far splendere nelle prossime generazioni.
La Chiesa di Santa Croce la si vede fin da Savigno, piccolissima aumenta di grandezza pian piano che si sale. La guardo prima sconsolato dalla fatica che mi aspetta, poi sempre più rincuorato per la salita che sta per finire. Anche se in realtà la Chiesa non indica la fine della salita, perché la strada continua a salire con un ultimo strappo cattivo fino a dei casolari immersi nel verde.
Finalmente discesa, breve, per metà ben tenuta in comune di Valsamoggia e poi lasciata andare, con grossi crateri che costringono a tenere l’occhio ben vigile e il manubrio saldo tra le mani entrando nel comune di Zocca.
Un paio di sali e scendi concludono la discesa aprendo la vista verso la salita che porta al Conventino e alla Lama Di Zocca. Salita molto bella, dai colori accessi tra campi di grano arati e di girasoli appena raccolti.
Salita vera seppur breve ma che non scende mai sotto il nove per cento. Il sole scalda ma quassù l’aria è più frizzante e me la godo tutta, soprattutto quando sul Brasa mi comincio a dirigere verso Castel D’Aiano.
È passata da poco un ora dalla mia partenza e non ho fatto neanche venti chilometri, mentre il dislivello è di più di 600 metri e spiega bene questi pochi chilometri percorsi.
Ora sulla ex statale del Brasa la velocità riesce finalmente ad alzarsi e le gambe a spingere decentemente.
La strada è confine perfetto tra Modena e Bologna, attraversando i borghi della montagna modenese e ammirando il Cimone in lontananza dorarsi dei primi raggi di sole. Trappola, Casa Miro, fino a rientrare in provincia di Bologna a Bocca dei Ravari e poi Serra Sarzana e i laghetti dell’Eden ancora deserti.
Mi accorgo che da quando sono partito sto accompagnando il sole nel suo buongiorno, lo scorto nel salire in cielo, o forse è lui che scorta me verso le alte cime appenniniche. È una bellissima sensazione che un attimo mi distoglie dalla domanda che mi ronza in testa dalla partenza: “Salirò fino al Cavone, mi conviene data la precaria condizione, riuscirò a fare gli ultimi tre chilometri dopo Madonna dell’acero?”
I dubbi persistono mentre attraverso una sveglia Castel d’Aiano e proseguo verso la sua Piscina e poi verso Montese.
È una strada secondaria poco trafficata che taglia i campi tra Castel d’Aiano, SassoMorale e Montese. Affianca l’antico borgo di Costa di Dente e mostra il panorama più bello sull’Appennino Modenese, dal Cimone fino a sfiorare il Corno alle Scale nascosto e protetto dal Monte Belvedere.
Da Montese proseguo verso Maserno con una serie di su e giù dolci e freschi immersi nel bosco. A Maserno svolta a sinistra veloce e breve discesa verso il torrente e ricomincio a salire costeggiando i borghi del Dismano, le sue fonti e le sue maestà. Salita dolce che si trasforma in un falsopiano fino all’incrocio con Castelluccio di Moscheda e riprende più decisa per un paio di chilometri fino a ValPiana, piccolo borgo sotto il Belvedere, il primo del Comune di Lizzano. Qui la Nuda si erge davanti ai miei occhi, rossa appena sveglia tra il verde degli alberi.
Finalmente discesa vera verso Querciola e poi verso la Masera dove ricomincio a pedalare svoltando leggermente a destra direzione Vidiciatico. Qui la vista si apre sui Monti della Riva confine naturale tra Modena e Bologna, nella cui valle scorre fresco il Dardagna, uno dei tre fiumi che formano il Panaro. Un chilometro di falsopiano e prima di arrivare a Vidiciatico svolto a destra proprio all’indicazione Valle del Dardagna. Un paio di chilometri di sali e scendi con lo strappo di Cà Vescovi a risvegliare le gambe e la discesa di Cà Crudeli a porgli l’ultimo riposo, perché arrivato all’abitato di Farné, svolto a sinistra cominciando a salire verso La Cà.
La conoscono in pochi questa salita ma è sicuramente la variante più dura, ma anche più bella, per raggiungere il Cavone e le Piste del Corno alle Scale. Arrivare fino in cima vuol dire salire per 12 km con 900 metri di dislivello.
Immersa nel bosco di castagni, da Farné si attraversano i borghi di case in sasso di Cà Vighi, Cà Tonielli, Cà Borelle e Cà Corrieri. Arrivare a La Cà sono due chilometri per 200 metri di dislivello. Si parte da 700 metri e si arriva a 900 all’incrocio davanti alle Frascare poco dopo LaCà, arrivando sulla provinciale delle Radici continuando a salire verso Madonna dell’Acero.
Salgo godendomi il fresco dei castagni e il profumo dei caffè che esce dalle case, tutte aperte, tutte vive e vissute.
Un piacere vedere la montagna in festa, meno vedere le auto occupare ogni angolo in riva al bosco e una volta arrivato sulla provinciale a La Cà vederle in fila, lente e sporche, salire verso il fresco del Cavone.
Aspetti contrastanti della montagna di nuovo abitata e viva che mi lasciano sempre frastornato.
Pedalo agile e approfitto del falsopiano di Cà Berna per riposare le gambe. La domanda che mi assilla dalla partenza ormai ha risposta sicura.
Arrivo a Madonna dell’Acero dopo aver attraversato la splendida galleria di faggi e pini e proseguo verso il Cavone. Madonna dell’Acero è il vero obbiettivo di giornata, conquistare uno dei Santuari mancanti per provare a raggiungere il Brevetto Gold.
Salendo al Cavone la fila di auto con la puzza di frizione strinata mi fa sentire al Giro d’Italia. Non certo Gibo Simoni o Damiano Cunego nella tappa del 2003, ma più un Mario Cipollini che faticando, ma con il sorriso, sale per arrivare entro il tempo massimo.
I tre chilometri verso le piste sono sofferenza pura, ma una volta al Cavone la soddisfazione è tanta. Continuo a salire, perché la regola è che se si sale al Corno non ci si ferma mai al Cavone, ma si deve salire fine alle piste, un altro chilometro fin dopo la galleria per arrivare a bordo pista e scendere di nuovo al lago.
O così, o ci si ferma a Madonna dell’Acero.
Con più la fatica ad attraversare l’assembrato parcheggio del Cavone, che quella del pedalare, arrivo alle piste e riscendo subito a Madonna dell’Acero.
Un preghiera davanti alla Madonna e una contemplazione distratta dal vociare alla splendida Riva, foto di rito per il Circuito e mi butto in discesa a LaCà dove mi aspettano un caffè e due chiacchiere con i miei che si godono la vacanza.
È ora di tornare verso la Bassa e alla fontana in paese mi aspettano gli amici di una vita pronti a scortarmi verso la media Valsamoggia.
La strada del ritorno è quella dell’andata, una sosta panino e coca da Barilani a Querciola e poi di nuovo Val Piana, Maserno, Montese, Costa di Dente, Castel d ‘Aiano, Conventino, Santa Croce e Savigno.
Raramente faccio la stessa strada andata e ritorno ma per tempo e per bellezza non mi dispiace mai in questo giro ripercorrerla in senso inverso.
Nello scendere ripenso all’ultima volta che lo feci in bici, a Febbraio in piena zona rossa quando a La Cà si sentiva solo il respirare del bosco, e lo scorrere delle sorgenti e le uniche due persone che incontrai furono due carabinieri in posto di blocco davanti all’incrocio per Cà Gabrielli che mi salutarono stupiti quanto lo ero io nel vederli.
La strada è molto più veloce rispetto all’andata e a volte mi stacco dagli amici molto più allenati di me. Sono in questi momenti che capisco quanto sia faticosa la bicicletta. La fatica la si fa sempre, che tu sia allenato e vada forte, o poco allenato e vada piano. Ma quando vai piano e i tuoi muscoli e la tua testa ricordano ancora nitidi la velocità e la facilità nel raggiungerla dei tempi passati, la fatica raddoppia costringendoti ad uno sforzo mentale oltre che fisico che non sempre è facile da affrontare e spesso ti fa scendere dalla sella e abbandonare la bici.
Non è così per me. Mi ripeto che L’importante è pedalare e vado avanti.
Arrivo a casa con quasi 130 km e più di 2500 metri di dislivello, i ragazzi mi aspettano e rallentano ad ogni mia difficoltà: se non puoi chiamare amici questi pedalatori allora di amici ne hai ben pochi.
Arrivo a casa con fatica infinita ma anche grande soddisfazione. Lento come non lo sono mai stato, ma la bicicletta è anche questo, saper accettare ogni fase della vita e continuare a pedalare!
E per il Circuito dei Santuari mancano solo quattro Santuari da visitare per raggiungere il Brevetto Gold. I due più lontani, Il Sinai Bolognese e quello più impervio.
Ce la farò?
Foto di Enrico Pasini