Rocca Corneta è lì, ferma da secoli, a guardare la Riva colorarsi delle stagioni nel passare lento degli anni. Poche case, tanti borghi, il ristorante, la Chiesa dal campanile bianco, la vecchia Torre sul cucuzzolo più alto, una volta simbolo di potenza, perché Rocca Corneta è stata per secoli il centro più importante di questa mistica zona dell’Appennino.
Da LaCà spaziando verso la pianura la Torre la si vede improvvisa ergersi tra la macchia verde dei campi, di sera illuminata è un punto di luce fermo e sicuro nelle tenebre della selva abitata da Lupi, volpi, tassi, istrici, cinghiali e caprioli.
Di verde in Appennino ce ne è sempre ma in questo 2021 è un verde molto vicino al giallo. Il sole di questa calda estate ha cotto campi e boschi, ha fatto sabbia della terra e ferro i fili di grano che di tanto in tanto spuntano sui margini del bosco. Mi taglio nel provare a staccarne uno da portare alla bocca per masticarlo.
Proprio a fianco della torre un sentiero si butta giù verso il fiume, le sue acque si fanno sentire nella valle ed evocano un fresco che sotto il sole potrebbe essere un miraggio.
Tra querce, sassi e balzi la discesa è lenta e accorta, un tuffo nel Dardagna è tutto quel che desideriamo ma non certo da queste altezze.
Il ripido sentiero finisce dentro un altro sentiero più agile, anche questo si poteva prendere da Rocca Corneta alle porte della Chiesa allungando di un poco il tragitto.
Un ultimo bivio devia verso il basso, il fiume è sempre più vicino a dall’alto si scorge un piccolo ponte e un tetto affianco di alcune rapide che aprono il fiume a vasche dalle acque cristalline.
Sono quelle che i ragazzi dei monti chiamano le vasche di Rocca Corneta, sono ristoro e rigenerazione, divertimento e svago.
Si attraversa il Ponte e si passa accanto al vecchio Mulino della Piastra, un tempo attivo Mulino, poi centrale idroelettrica e ora tristemente diroccato.
Quanto doveva essere bello lavorare qui, con il fiume a dettate il ritmo, la pace dei boschi a rilassare, il vento a scuotere corpi stanchi dopo giornate di grandi fatiche.
Vederlo così mette un po’ tristezza, chissà che le nuove generazioni non possano trovarne una nuova vita e nuovi utilizzi.
Dopo tanto sentirlo ora il fiume lo si può toccare, l’acqua è fresca ma non freddissima ed immergere i piedi è automatico con il sole che, seppur per poco meno di un ora, aveva già surriscaldato i nostri corpi.
Una famiglia ha già occupato le rocce sotto il mulino, noi stendiamo i teli nella spiaggette dalla parte opposta mentre più a valle, di fianco ad una cascata, una coppia prende il sole abbracciata su quello che a ricordo è il trampolino più bello da cui tuffarsi.
Da quanto tempo non scendevo alla vasche, 20 anni esatti, forse qualche anno in più, ma tutto sembra rimasto come allora.
Sembra, perché il tempo passa e non lascia mai tutto come prima.
La fatica che feci ad entrare nell’acqua gelida da ventenne, non si fa trovare in questo 2021, con i 40 anni appena suonati ed un’acqua che seppur fresca non è quella dei ricordi.
Il fiume forma diverse vasche, tre sotto il ponte, la prima alla fine di alcune rapide raggiunge anche una profondità di due metri e tuffarsi a fianco dell’ultima cascata è l’ideale per prendere le misure con il fiume e il suo scorrere.
Le due vasche successive rallentano il fiume, la prima meno profonda, la seconda con un bel buco al centro, ideale per restare immobili a godersi la dolce corrente dell’acqua che scende dalle cime tra Corno e Spigolino. Le rocce sotto lo scorrere del fiume hanno forme che nessun sculture può riprodurre. Levigate, plasmate in curve sinuose il fiume è lo sculture migliore in natura. Il fiume scorre e plasma, forma, crea, inventa, lento nel tempo.
Dopo queste vasche si butta in due scivoli che sembrano fatti da un designer di piscine, ideali per scivolare con lui e riportarsi nel letto che, curvando, arriva ad un’altra vasca. Qui il fiume fa un salto buttandosi da una cascata di tre metri in una piscina naturale verde smeraldo larga e profonda.
Il tuffo di fianco alla cascata non è esagerato, ma è comunque una piccola scossa di adrenalina, entrare dall’alto nell’acqua fresca e sprofondare nel fiume senza trovare il fondo, combattendo la corrente resa forte dalla cascata, oppure accettando il suo andare fino a farsi trasportare dalla sua corrente verso i primi massi su cui ergersi a due vampe, è emozione e divertimento.
Oltre ai Massi, subito dopo una nuova curva, vi è la vasca più grande, una vera piscina che venti anni prima era profonda e dalla cui riva ci si poteva tuffare a più di 4 di altezza, un tuffo eroico che il tempo ha cancellato. Il Fiume scorre e porta con sé quello che incontra, fermandolo dove gli è più comodo. Il clima che cambia, l’acqua che diminuisce e così ora tuffarsi in questa piscina non è più possibile e giusto piedi e caviglie rimangono al fresco coperti dall’acqua.
Tra un tuffo, un po’ di sole, una lettura, un panino portato con una birra tenuta al fresco dentro l’acqua, la giornata scorre veloce.
Le sponde del Dardagna sono assolate ma portano anche ombra e fresco. Una famiglia con tre ragazze adolescenti si sistemano sotto un albero, due ragazze si sdraiano in acqua, mentre una rimane solitaria con il cellulare in mano dietro una roccia . Cinque ragazzi tedeschi si mettono al sole, gonfiano un materassino e si fanno trasportare lungo le due vasche sotto al ponte, mentre dalla Piccola Cassia arrivano due ragazzi e una ragazza che curiosi guardano i tuffi di chi ama l’avventura.
I ragazzi non ci pensano due volte rimangono in costume e si tuffano immediati, la ragazza lì guarda poi toglie i pantaloni rimanendo in costume e subito dopo la maglia mostrando due grandi seni agli amici che, già in acqua, la invitano a tuffarsi. E così, con un sexi topless, anche lei si tuffa per la gioia dei due amici.
Nel mentre dei ragazzini guardano i numerosi girini nuotare insieme a piccole trote appena nate. Una grande ogni tanto appare dal fondo ma subito si reimmerge nella profondità spaventata dagli umani.
Il sole lento e caldo si avvicina alla Riva e l’ombra avvolge il Mulino della Piastra regalando finalmente un po’ di fresco ma dicendo anche che è ora di tornare verso casa.
Il fresco del Mulino e dell’acqua del Dardagna sono l’unico ricordo a cui aggrapparsi lungo il sentiero del ritorno che, ancora assolato, fa sentire intrappolati in un forno e quasi pronti per essere mangiati.
Pochi minuti e il finto fresco dell’aria condizionata in auto riporta alla triste normalità.
E così sale un po’ la nostalgia per una bellissima giornata vissuta in simbiosi con il fiume che, dopo millenni, continua a scorrere scolpendo e decorando il suo letto appenninico.
Foto di Enrico Pasini