E anche per quest’anno siamo giunti alla fine del viaggio: del mio viaggio, attraverso luoghi suggestivi, sospesi nel tempo, dimenticati, ma sempre potenti e presenti nel cuore di un Appennino magico.

L’ultima tappa è forse la più bella, la più sontuosa e quella di cui non rivelerò l’esatta ubicazione (anche se in tantissimi sanno dove si trova), per non incitare vandali o persone poco rispettose a profanate e rovinare un luogo che trasuda storia e pare essere rimasto ciò che era in tutto e per tutto.

Meta di innumerevoli pellegrini, in viaggio da Bologna alla Toscana sull’ormai arcinota Via degli Dei, l’Ospitale di Monzuno venne edificato attorni all’anno Mille dai monaci Vallombrosani, che lo gestirono assiduamente, fornendo appunto ospitalità ai viandanti che transitavano da quelle parti.

Una costruzione immensa, divisa tra lo sconfinato parco privato, la chiesa maestosa e le numerose stanze ancora arredate, che rapisce sin dai primi passi compiuti sopra un pavimento che, pur segnato dal tempo e dal progredire della natura all’interno del complesso, mantiene intatto quel senso di storia e fascino, in grado di rapire la mente di ogni appassionato rispettoso e interessato a documentare, senza toccare o spostare alcunché.

Lo sguardo indugia sui dettagli, sui volti delle sculture crepate che ancora osservano coloro che accedono alla parte sacra e questo è sufficiente per procedere con reverenza e delicatezza, lasciando che la brezza culli un luogo, come gli altri da me visitati, sospesi nel tempo.

Una magnifica sensazione che si ripete, quella di libertà e di ripercorrere vite ormai perse nella polvere e nella documentazione giunta fino ai giorni nostri, pensando agli ospiti illustri che hanno pernottato nelle ampie camere da letto, tra i quali spiccano i pittori Nino Bertocchi e Lea Colliva.

L’Ospitale è un luogo reso ancora più bello dall’edera che avanza e cresce, colorando di verde le pareti, mentre l’ingresso nella parte un tempo abitata, è accolta da giochi di luce ed ombra che conferiscono qualche brivido, ma non fanno passare la voglia di esplorare, anche se si fa strada la sensazione che occhi del passato si aggirino ancora fra i corridoi e facciano capolino tra gli angoli e osservino con curiosità oltre le ragnatele dei decenni.

Un luogo che ancora possiede, nonostante l’abbandono, quel senso di protezione e che, sorprendentemente, conserva tuttora quel senso di accoglienza e benevolenza, tanto che viene quasi voglia di fermarsi e concedersi un piacevole e liberatorio momento di ristoro, lontano dalla frenesia e dall’insensatezza di un mondo tanto moderno quanto ottuso, che non permette una rivalutazione di questo diamante architettonico e storico del territorio.

Un percorso fatto di colori, storie, umanità caritatevole e segreti, nel quale natura ed essere umano sono coesistiti perfettamente, in quel delicato equilibrio di sensibilità ed emozione, che oggi è praticamente impossibile e che rimane un ricordo legato al tempo che fu, ma che ancora è in grado di vivere e di essere infuso nel cuore di chi è in grado e ha l’intenzione di comprenderlo davvero.

Ricordando come sempre il massimo rispetto per ogni luogo che visitate e ciò che davvero significano questi simboli per il nostro territorio, spero di essere ancora con voi la prossima estate, tra nuovi e antichi tesori nascosti e cornici suggestive disseminate nelle colline che ci circondano.

Buon viaggio e buona vita a tutti.

 

Foto di Fabrizio Carollo

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