Un sabato che doveva essere lavorativo trasformato in un sabato ciclistico, immerso nel verde dell’Appennino magico e selvaggio, toccando il confine toscano e tornando verso l’ultimo colle prima della pianura.

La sveglia suona come quando il lavoro chiama, la lascio andare via e apro gli occhi un quarto d’ora dopo, un po’ per fortuna, un po’ per abitudine al dovere.

Mi alzo ma non mi sveglio, mangio due cereali, un caffè mielato con qualche biscotto e un succo di frutta. Mentre fuori le colline prendono colore mi chiedo se non sia il caso di tornare a letto. La tentazione è forte ma penso che sarà l’ultimo weekend sui pedali per un po’ e così tiro fuori la Bici prima di andarmi a cambiare e gli faccio godere i primi raggi di sole sulle vigne della Valsamoggia.

Da poco passate le sei esco e ammiro i campi tra Zappolino e Ponzano luccicare  d’oro, mi fermo per una foto mentre alle mie spalle un capriolo curioso fotografa me e scappa appena si accorge che di essere visto.

Salgo verso San Prospero con agilità lenta e controllata, ho quasi una sensazione di freddo nel pedalare, piacevole freddo dopo giornate di afa aggressiva e soffocante.

La pace del mattino presto mi avvolge, attraverso Tolè ancora addormentata con l’odore delle paste calde che esce dal forno ed invita a fermarsi, continuo comunque a salire fino a Santa Lucia, il parcheggio del Monte Pigna è vuoto, segno che i funghi si stanno facendo desiderare. Solo il soldato a far da sentinella e a ricordare le atrocità passate, con la croce che svetta tra gli alberi a portare pace.

Sfioro Rocca di Roffeno e Castel d’Aiano, evito il Brasa e la Canevaccia e arrivo tranquillo in una Pietracolora già sveglia e attiva. Finalmente discesa, la prima dopo quasi due ore di agile salire. Il Corno alle mie spalle mi saluta e io saluto lui, mentre mi involo sulla vecchia Porrettana fino a Silla entrando nella Porretta viva e allegra del sabato di Mercato.

Alto Reno Terme – Santuario della Madonna del Ponte 

 

Sono a Madonna del Ponte, quante volte ci sono passato da qui è impossibile dirlo e tenerne il conto, unico dato sicuro sono le zero fermate che ho fatto in questo Santuario. Un gioiello incastonato nella roccia che guarda il Reno scorrere. Entro dentro al Santuario e ammiro l’altissimo soffitto, l’immagine della Madonna di SanLuca e nella piccola cappellina le maglie delle squadre di basket italiane. La Madonna del Ponte è la patrona del Basket Italiano e piano piano i giocatori passano da Porretta portando i loro cimeli di vittoria, fatica e sudore.

 

Il dolce fluire del Reno, rilassante e armonioso  mi ricorda che il tempo passa, sono da poco passate le otto e trenta, ho già più di 50 km e mille metri di dislivello. Ora mi aspetta l’Appennino più nascosto, più selvaggio e quindi più bello di tutto il Bolognese.

Da Ponte della Venturina svolto verso destra e comincio a risalire il Reno. La “Pracchiese” è una delle strade più belle del nostro Appennino, stretta tra la selva e il fiume con le ferrovia Porrettana che di tanto in tanto appare sotto la strada. Fatta tutta verso Lucca, arrivando a Ponte Petri e salendo il Passo dell’Oppio, diventano venti chilometri di puro spingere sui pedali, che si concludono con lo strappo finale verso San Marcello Pistoiese. Io arrivo fino a Molino del Pallone dopo aver superato una bella signora inglese con il marito, una coppia tirata che non può confondere il grado di allenamento acquisito in questa prima metà di anno. Il marito mi si mette a ruota e rimane con me finché non svolto a destra verso Case Boni.

Il Randaragna nonostante il secco di questo Luglio urla nella valle che risalgo nei suoi tornanti tra muretti in pietra a strapiombo sulla selva e castagni in fiore che sporcano meravigliosamente la strada. Sono in mezzo ai boschi più fitti e maestosi del Bolognese, i boschi dei racconti di Guccini e Machiavelli, boschi di gnomi ed Elfi che mi guardano stupiti e un po’ impressionati.

La strada che sale a Case Boni è poco conosciuta ma estremamente affascinante, sale a Monte Cavallo o gira intorno al monte per tornare verso Porretta. Una strada che mi piace fare in autunno con i ricci delle castagne per terra insieme alle foglie morte e quelle che stanno per cadere colorate dei colori dell’autunno.

Per non allungare troppo decido però di non farla tutta e così a Case Boni svolto a destra e comincio a salire verso Case Forlai. Una strada mai fatta proprio perché tagliava troppo un giro stupendo.

Ma questo Circuito dei Santuari dell’Appennino Bolognese regala continue sorprese, proprio come questa salita, corta  ma che impenna la strada dentro al bosco e arriva dopo due chilometri sulla strada appena lasciata davanti alla bella Chiesa di Sant’Agostino dei Boschi di Granaglione. Non è  mio obbiettivo ma rallento per ammirarla, e all’inizio mi chiedo se sia questo il Santuario di Calvigi. Quante volte ho fatto questa strada e Calvigi, nonostante avessi visto le indicazioni, non avevo mai capito dove si trovasse.

Prendo così la discesa lentamente, mi godo la strada tortuosa nonostante l’asfalto stia lasciando la sua sede in diverse parti, respiro l’odore del bosco in estate e finalmente arrivo all’indicazione per Calvigi.

Scendo piano lungo la ripida discesa sopra il Santuario, nascosto dalla vista in strada appare subito sulla sinistra mentre scendo. Al tornante il vecchio lastricato non molto adatto alle Specialissima, è l’ingresso al Santuario, nascosto, e per questo ancor più bello, non solo da conquistare, ma anche da visitare.

Adagiato su un piccolo verde pianoro, dietro una parete rocciosa contornata dal bosco di castagni che tra qualche mese daranno frutti squisiti da bere con un sangiovese, o un barbera, o una cagnia di Romagna. Un prato verde si butta in questi boschi e una sorgente sgorga acqua fresca ideale per rigenerarsi.

Ma è tutto il contesto che rigenera, sono solo, una leggera aria smuove i castagni, apro la finestrella per ammirare il santuario, leggo la sua storia e mi siedo sul muretto guardando Granaglione sulla sponda del monte davanti Calvigi.

Riempio la borraccia e mi rinfresco e sono pronto a ripartire, è quasi un dispiace lasciare Calvigi e la sua pace ma è ora di tornare verso casa, ho già più di 60 km nella gambe e 1500 metri di dislivello. Attraverso una Granaglione affollata e viva più che mai, molti hanno riaperto le case godendosi il fresco dell’Appennino lasciando l’afa malata della bassa. Arrivo a Borgo Capanne con la tentazione di svoltare a sinistra e scendere verso il Molino per salire a Capugnano, ma preferisco non perdere altro tempo e soprattutto non allungare altri chilometri. Ripasso davanti alla Madonna del Ponte, attraverso Porretta e scendo a Silla.

Ora mi aspetta tutto il Passo Brasa, salita sempre bella che le mie gambe affrontano con scioltezza e un filo di allegria. In cima mi tiro un po’ il collo raggiungendo un magro ragazzo di Bologna che si mette alla mia ruota e che tradisco svoltando a sinistra verso il Santuario. Torno al Brasa dopo qualche mese trovando nel borgo molte più auto dell’ultima volta segno che anche qui molte case hanno trovato vita in questa estate assolata. Scatto la foto presenza mentre un ragazzo, canotta e ciabatte in bici, mi viene incontro. Mi chiede se sto facendo il circuito e mi racconta di una sua caduta la settimana prima che lo ha messo un po’ in difficoltà. Ha solo qualche graffio ma cadere in bici non fa mai bene, chiacchieriamo piacevolmente qualche minuto il tempo di riempire la borraccia e scoprire che il ragazzo ha già 60 anni e che quando tornerò posso andarlo a trovare, perché lui abita lì, di fianco al Santuario. Gli dico che però le sue origini non sono certo del Brasa, la parlata allegra e l’assenza della C non tradisce la natia Toscana, infatti mi dice che in realtà è di Prato.

Lo saluto e scendo verso Castel d’Aiano e poi verso la Valsamoggia dal Conventino e da Santa Croce. Finalmente discesa vera.

Un sabato che doveva essere lavorativo mi ha fatto scoprire due veri Gioielli incastonati nelle rocce e nei boschi del nostro meraviglioso Appennino. La Madonna del Ponte patrona del Basket italiano, piccolo Santuario adagiato sul Reno e il Santuario di Calvigi nascosto tra roccia e castagni con la sia pace rigenerante e i suoi silenzi assordanti. Dopo decenni di presenza in Appennino sicuramente questa non sarà la prima e ultima volta che passerò da loro.

Arrivo a casa con quasi 140 km e quasi 2500 metri di dislivello.

Anche in questo Giro la pianura non si è vista, ma il nostro Appennino è troppo bello per perdersi nella sconfinata e illusoria bassa Padana.

 

Foto di Enrico Pasini

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