LE NOSTRE RECENSIONI: “Spaccapietre” di Gianluca e Massimiliano De Serio

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Siamo nella campagna pugliese.
Giuseppe e Angela, genitori del piccolo Antò, faticano a sbarcare il lunario, dopo che l’uomo ha perso il lavoro di spaccapietre alla cava, a seguito di un incidente che lo ha reso cieco da un occhio.
Costretta a lavorare illegalmente presso un’azienda agricola gestita da un padrone crudele e pervertito, Angela muore a causa dell’enorme fatica, lasciando nella disperazione marito e figlio, che si vedono costretti ad abbandonare la loro casa, non potendo più pagare l’affitto.
Mentre è alla ricerca di un lavoro, Giuseppe promette al piccolo Antò di riportagli la mamma scomparsa e di lì a poco, l’uomo si ritrova a lavorare nello stesso posto della moglie defunta.
Tra soprusi, sfruttamento e violenze all’ordine del giorno, padre e figlio resteranno comunque sempre vicini e si sosterranno a vicenda, finché l’incontro casuale con un’amica di Angela cambierà tutto completamente.
Va detto subito che, con SPACCAPIETRE, lo spettatore si trova di fronte ad una vicenda tanto straziante quanto reale.
Ispirato alla tragica morte di Paola Clemente, bracciante deceduta nei campi dell’assolata Puglia e una delle tante vittime del caporalato, il film è ben diretto dai registi Gianluca e Massimiliano De Serio e magistralmente interpretato dagli attori, tra i quali spicca ovviamente il protagonista Salvatore Esposito (Gomorra), eccezionale nel ruolo di un padre distrutto dal dolore per la perdita della moglie, ma pieno d’amore per il figlio, che protegge fino alla fine.
La pellicola rappresenta nel modo forse più reale e più crudo, condizioni di lavoro atroci al pari dello schiavismo, per una realtà che si sente spesso nominare, ma che non si conosce davvero. Un problema, quello del caporalato, che non viene affrontato adeguatamente a livello sociale e tantomeno politico.
Il dramma affrontato da Giuseppe e Antò è quello comune a tante altre famiglie che soffrono di un disagio assoluto. Uomini e donne costretti a lavorare per ore nei campi in condizioni disumane, sottopagate e senza alcuna sicurezza.
Lo stile narrativo asciutto e analitico che i due registi scelgono di adottare, sbatte in faccia al pubblico un incubo alla luce del sole, mentre il rapporto tra padre e figlio rappresenta l’unica scintilla di calore e umanità in una cornice di indifferenza e violenza, anche se forse, proprio lo stile eccessivamente documentaristico e in parte un po’ ripetitivo, rischia di smorzare, di tanto in tanto, l’empatia provata verso i due protagonisti.
Le giornate si susseguono sempre uguali, sempre disperate al cospetto di un sole che brucia il viso e appiccica i vestiti sudati alla pelle, mentre la forza di Giuseppe e Antò risiede nell’affettuoso ricordo di Angela e nella lontana speranza di poter ricostruire un’esistenza dignitosa.
In alcune scene, la rabbia sale senza sosta, specialmente quelle che hanno per protagonista il padrone dell’azienda illecita (un terrificante Vito Signorile).
Pazzesco, quando lo si vede recitare il Padre Nostro nella sua villa immensa o quando assistiamo ai soprusi ed agli abusi sessuali nei confronti di Rosa, che poi legherà con il piccolo Antò.
Un film decisamente cupo, dove la cronaca assume quasi il ruolo della protagonista, così come l’evidente denuncia sociale ed in questo senso, la scommessa dei giovani registi è vinta su tutta la linea, complice anche i dialoghi scarni e la colonna sonora quasi completamente assente, che accentua quel senso di putrida realtà, nella quale si viene catapultati e da cui pare non esservi scampo, se non affidandosi ai “superpoteri” che forse sono in grado di riportare in vita chi abbiamo amato con tutto il cuore.
Al di là del tema trattato, SPACCAPIETRE non è un film facile né per tutti.
In tanti lo troveranno noioso e decisamente lontano da un tipo di cinema italiano che sempre più si amalgama al ritmo e al montaggio frenetico delle produzioni internazionali.
Non esente da difetti, in primis forse l’eccessiva durata e alcune scene che potevano certamente essere ridotte, anche se è evidente l’intenzione di una tale scelta di messa in scena, ritengo comunque questo titolo importante e un’ottima prova attoriale per il già citato Esposito, che si scrolla di dosso un ruolo televisivo forse anche troppo opprimente ed a tratti già visto, dimostrando invece qui di poter ben incarnare un padre di famiglia pieno di fragilità e sempre sull’orlo del baratro emotivo.
Ottima anche la performance del giovanissimo Samuele Carrino nei panni di Antò, che immediatamente costruisce un legame credibile e genuino con Esposito, tanto che i due sembrano davvero padre e figlio e regalano tenerezza e commozione in ben più di una scena.
Il finale, anch’esso brutale e secco, anche se abbastanza telefonato, non può che distruggere il cuore dello spettatore più sensibile, che solo parzialmente trova un barlume di consolazione nell’ultimissima sequenza, poco prima che i titoli di coda non arrivino a regalare un sollievo assai labile.

 

I registi Gianluca e Massimiliano De Serio

SPACCAPIETRE è un film che parla di famiglia, di soprusi, di tradizione e solidarietà.
Un film che vi consiglio assolutamente e che credo dovrebbe essere proiettato nelle scuole al fine di coinvolgere le giovani generazioni, ormai lontanissime da queste tematiche e sempre più rapite (non completamente, per fortuna…) da un’apparenza che cancella qualsiasi forma di emozione concreta e attenzione verso una parte di mondo che è invece ben presente e grida tutto il suo dolore e tutta la sua ingiustizia.
Un film che non dovrebbe finire nel dimenticatoio, come invece temo e del quale si dovrebbe parlare ancora per ore ed ore.

 

foto da internet

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