APPENNINO: Un weekend fra la Valsamoggia e il Corno alle Scale

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Le querce di Ca’ Corrieri

La neve caduta nella notte, portata dal vento del nord, non ferma la voglia di libertà e normalità di cui abbiamo urgentemente bisogno. Il virus e la politica non concordano con questo “urgentemente”, ma la realtà è questa!

È l’ennesimo weekend pandemico, è l’ennesimo weekend dove il meteo dice che sarebbe meglio stare in casa. Dopo una settimana da 10/12 gradi il sabato si sveglia bianco e velato di nuvole che presto vengono spazzate via dal Buran, il freddo antipatico padrone di questo fine settimana.

Il sole appare poco prima di mezzo dì e la voglia di aria fresca, più che fresca è gelida, è troppa per subire un’altra giornata chiusi nelle quattro mura di casa. Doveva essere il weekend del ritorno sugli alti monti dell’Appennino, ma Buran ha detto di no, almeno in parte. Parcheggiamo alle scuole di Monteveglio, a pochi chilometri da casa e le gambe veloci cominciano a salire per la strada verso l’Abbazia. I calanchi innevati acquistano ancora più magnificenza e il Borgo, con i tetti innevati, è una gemma preziosa incastonata in uno splendido anello d’oro bianco.

La strada verso Bazzano

In cima il vento punge e i campi verso la pianura, piano piano, dal bianco tendono al verde anche se la neve si perde a vista d’occhio verso la sconfinata terra emiliana.

Nel borgo dei bambini si buttano con il bob dalla vecchia torre nel giardino sottostante, alcuni turisti ammirano l’Abbazia e nel Chiosco diversi quintali di legna aspettano i Frati per essere accatastati al riparo dall’umido.

Scendendo ammiriamo la strada verso Bazzano apparire e scomparire tra le fronde degli alberi, solcare i campi innevati, lei nera e sinuosa come uno splendido rettile a riposo crogiolare al sole.

Il Chiostro 

Una camminata corta che però ha sciolto le gambe e aperto i bronchi. Mentre l’auto solca i tornanti verso Zappolino ammiro il Cimone in lontananza e la nostalgia verso il mio Corno mi torna improvvisa come le folate di vento che spazzano via la neve dai tetti.

È domenica mattina, le campane suonano le otto e il caffè di San Valentino è già caldo sul tavolo.

Fuori il termometro è abbondantemente sotto lo zero ma la strada è asciutta e pulita.

Pochi minuti dopo le nove siamo in auto diretti verso l’alto Appennino Bolognese, i suoi boschi e i suoi borghi. Con un po’ di rischio scelgo le strade più isolate, attraverso Savigno e seguo il Samoggia luccicante di fresca e pura acqua.

I primi tornati verso Santa Croce puntano il cielo azzurro sporcato qua e là da piccole e paffute bianche nuvole.

Il cartello all’ingresso del paese, con alcuni fori stile Far West, mi lascia sempre un po’ inquieto. Ma questo borgo mi piace un sacco, tra l’abbandonato e il vissuto, con ancora aziende agricole che lavorano sodo, andrebbe preservato così come è, monumento tra quello che eravamo e quello che siamo, lavorando per quello che saremo. Dal paese verso l’incrocio per Tolè la strada comincia a sporcarsi. Tra neve e rivoli d’acqua ghiacciata guidare non è facile ma è anche molto divertente.

L’andare piano ci aiuta a voltarci ed ammirare la Valsamoggia dipinta di bianco. Uno spettacolo per occhi e anima e penso alla settimana prima quando nello stesso punto scendevo in bici tra la nebbia, con cinque metri di visibilità alle sei di sera, provando comunque le stesse emozioni. Quando vivi la tua terra in modo completo, questa sa comunque darti grandi emozioni.

Alcuni tratti ghiacciati tra Tolè e il Conventino mettono in difficoltà parecchi automobilisti ma per fortuna, sciando in slalom tra un fermo e l’altro, riesco a giungere sulla statale del passo Brasa.

Una strada bellissima che ho sempre  percorso in bici, spesso a tutta, che fatta in auto, piano, senza spingerci, ci lascia gustare ogni curva, ogni prato, ogni bosco, ogni casa e ogni casolare. Scendendo dal passo verso Gaggio Montano il vento spazza la neve in mezzo alla strada e alcune curve appaiono come improvvise paraboliche di piste da slittino che la macchina solca e distrugge, facendo esplodere nuvole bianche di polverosa neve.

Il panorama da Grecchia

Al caseificio, la fila di chi sa dove spendere bene i propri soldi, non ci fa desistere di spenderli bene anche noi, per fresco stracchino e una treccia di Mozzarella che sarebbe da mangiare nell’immediato, ma che ci sazierà in serata.

Salendo verso la Cà la strada non è perfetta ma assolutamente percorribile anche senza gomme da neve. La neve caduta dagli alberi, pestata dalle numerose auto che salgono, ha coperto il ghiaccio presente e rende la strada ancora meglio di quando la si pulisce. Eppure c’è chi non si fida e prima del B’dllo mette le catene. Solo paura.

La casa è chiusa da qualche mese, la sento gioire quando apro gli scuri, la sento fremere quando il gas comincia a fluire nei termoconvettori e la sento soffrire di piacere quando l’acqua riempie i tubi freddi che hanno tenuto bene questi mesi di abbandono e isolamento. Ci è mancata a noi e noi siamo mancati a lei.

La Pieve di Lizzano

Scendiamo a Lizzano per mangiare due tigelle, la montagna è piena di gente, è una gioia per l’animo vedere il parco davanti alla Pieve pieno di bimbi che “bobbano”, gioiosi e vitali come solo loro sanno essere.

Questi mesi dopo l’autunno sono stati difficili e non ci si può nascondere dietro ad un fiocco di neve, perché le difficoltà non sono finite e la montagna, già sofferente prima, ora rischia veramente il collasso definitivo.

Le vecchie vie di Lizzano sono stupende abbracciate dal ghiaccio, tra antichi portici e storiche piazzette. La bellezza viene disturbata solo dai numerosi negozi chiusi sulla via principale. Una visione triste, tra cartelli affittasi e negozi appena inaugurati già chiusi, chiusi e vuoti.

È una situazione difficilissima, una questione annosa, dove il Comune può poco e lo Stato, che può tanto, invece, fa niente. Anzi…

La montagna ha bisogno di essere vissuta e amata, va riportata la gente a viverla, ma va resa più moderna, senza però dimenticare quello che è stata e sempre sarà.

Le vie di Lizzano

La montagna dà tanto anche quando soffre, dà in ogni situazione, la sua gente è forte e cocciuta, gente che lavora e la sa rendere bella anche nella difficolta.

Gente come Rita per esempio, che soffre il primo weekend di vero lavoro tra servizio un po’ lento e qualche errore, ma che ci delizia con tigelle e Crescentine squisite e funghi fritti spaziali. Rita aspettava questa giornata da tutto l’inverno, la difficoltà del servizio sicuramente non appanna la gentilezza, l’onestà e la forza di volontà che è riuscita a trasmetterci.

Qualità che la gente della montagna ha sempre messo per la sua terra e il suo paese e che merita di essere seguita e aiutata, dai clienti, dai cittadini, dai giovani e non di meno dalle istituzioni.

Gente come Rita, ristoratrice e albergatrice, o gente come Matteo e Filippo che costruiscono sci a Panigale capaci di vincere gare in tutto il mondo.

Il sole scalda e illumina i monti, la Riva è uno spettacolo da ogni angolo la si guardi, magica sempre, affascinante quando appare tra le querce secolari di Cà Corrieri e la vecchia casa in sasso dei Poli.

È già ora di tornare a casa, sopra Querciola la Nuda la vediamo luccicare di ghiaccio vivo, illuminata dal sole delle quattro di pomeriggio, un sole ancora alto che disegna sul crinale una scia d’oro quasi a sottolineare la bellezza di questa montagna a cavallo tra Emilia e Toscana.

 La Nuda e lo Spigolino viste dalla Querciola

Con il Corno alle nostre spalle, e il Cimone sulla sinistra, la strada verso la Valsamoggia rispetto al mattino ha già ripreso molto verde grazie al sole che, nonostante la bassa temperatura vicino allo zero, è riuscito a fare il suo lavoro.

Alla radio si dice che gli impianti domani non apriranno. Un disastro per l’alto Appennino Bolognese, per il Corno e per i suoi paesi. Una mancanza di rispetto verso chi lavorava da settimane alle piste, ai propri alberghi, verso chi sperava di salvare, almeno in parte, le proprie fatiche, e verso anche a quei cittadini che avevano preso ferie insperate a metà febbraio, per passare qualche giorno sulla neve in totale relax.

Ma nel disastro bisogna cercare di vederci qualche segnale per il futuro.

In queste settimane di semi libertà molto condizionata, la montagna è stata comunque presa d’assalto da numerose famiglie e da molte comitive che, nonostante gli impianti chiusi, hanno voluto viverla beneficiando della sua purezza e della libertà che riesce a trasmettere.

Perché gli impianti sono importanti, ma non devono essere fondamentali. La montagna deve camminare da sola, con gli sci in spalla, pronta ad accogliere il turismo bianco quando la Natura lo consente.

Siamo quasi in Valsamoggia, i campi dopo Savigno hanno già molti fili d’erba scoperti. Il notiziario è finito e la radio trasmette la canzone che ha vinto Sanremo nel 2020. J

E penso alla mia montagna, al Corno alla Scale.

“… Basterebbe solamente dire

Senza starci troppo a ragionare

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa,

Che sei tu che mi fai stare bene quando io sto male e viceversa…. ”

 

Foto di Enrico Pasini

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