La natura che osserva.
La natura che lascia il passaggio a chi mostra rispetto, a chi apre il cuore per la meraviglia di essa.
Madre Natura avvolge, protegge e svela le tracce di una storia lontana, sbiadita ma ancora affascinante e misteriosa.
Un sentiero circondato dal verde, sulle colline più alte… un percorso accarezzato dal fresco, che stuzzica il desiderio di esplorare, abbracciando l’entusiasmo con la prudenza, mentre i suoni della vita del villaggio natale di un grande e giusto Uomo di Cultura lasciano spazio ai delicati rumori del bosco, fino a quando lo scorrere dell’acqua non giunge alle orecchie e stimola la gola secca e l’anima già assapora la freschezza imminente.
Una simpatica signora anziana al limitare del bosco ha indicato la via, con cordialità.
In breve, le tracce appaiono timidamente, per poi farsi largo tra gli alberi ed eccolo che il borgo dimenticato appare davanti agli occhi.
Ormai devastato dal tempo, coperto dall’edera e forse non più fiero come un tempo.
Eppure, c’è quella sensazione che si avverte. Quel sentimento che cresce, mentre il silenzio domina sovrano, rotto soltanto dal cinguettio degli uccelli, dal bramito lontano di qualche cervo, se si è fortunati e dallo scorrere della cascata poco lontano.
Un borgo del passato remoto, antico di almeno quattrocento anni.
La pietra che resiste, danza ancora fiera con gli arbusti che non riescono a coprirla interamente, per quanto si ostinino, così come l’edera rampicante fallisce nell’avvolgere la storia e la vita che fu.
Case potenti, case robuste, costruite per resistere e ancora caparbie per non crollare completamente.
Il sole batte forte su questo luogo, spiegando forse il nome di uno spazio nel quale l’atmosfera particolare spinge a correre con la fantasia, immaginando la vita del borgo e ricostruendo le esigue tracce che restano con rimembranze di mestieri, problemi, la gioia della purezza e della vita all’aria aperta.
La sosta per dissetarsi alla fontana è d’obbligo e ci si guarda ancora intorno.
Un luogo che forse non colpisce così intensamente come altri nel territorio, quello di Fiammineda, eppure c’è la voglia di scattare fotografie, nel tentativo di fermare parte di quella sensazione e l’amarezza, tornando sui propri passi, di qualcosa destinato a perdersi per sempre e forse non tra tanto tempo.
Fiamme di pietra una volta possenti e libere, che il bosco ora vuole ereditare per sempre, lasciando però ancora il tempo a chi desidera percorrere quell’unico sentiero sul crinale che, dopo il sorriso scolpito dell’indimenticabile Enzo, conduce alla storia, alla bellezza di quei ruderi che attendono, prima di dire addio.
Solo una casa è stata parzialmente ristrutturata, senza che se ne conosca il motivo e guardarla stona decisamente con ciò che rimane vicino, ma non è più il tempo di porsi domande, ma semplicemente quello di tornare sulla via del ritorno, soddisfatti di questo tesoro, nella consapevolezza che anche Fiammineda rimarrà impressa nella mente e nel cuore.
Foto di Fabrizio Carollo
Sig. Carollo, avevo 6 anni quando andai per la prima volta in Fiammineda, era il 1947. Il borgo era quasi totalmente in piedi. A sinistra, entrando, vi era una casa adibita a fienile dove noi ragazzini facevamo salti nel fieno. A destra una casa stile liberty, forse l’ultima costruita. Le altre case, era estate erano abitate da persone dedite alla pastorizia ed all’allevamento di alcune vacche, oltre al lavoro dei boschi e degli orti. Se si osserva bene si vede come attorno l’area sia totalmente terrazzata. Arrivava la corrente elettrica e la fontana versava l’acqua nella piccola piazzetta. Poi lo spopolamento. Per alcuni anni Benito Biagi che allevava le vacche forniva latte a Pianaccio. A monte di Fiammineda vi è l’enorme costruzione de El Catlan, oggi una rovina con una data del 1500. Se si guarda attentamente a terra si trovano residui di ceramica del 1600-1700. Le parla di 400 anni, se si fanno alcune considerazioni ed osservazioni, possiamo tranquillamente dire che la zona era abitata da ben più secoli. El Catlan e Fimmineda erano lungo una importante via di transito che da Vidiciatico, passando per la Bocca de le Tese giungeva a Pianaccio per poi dirigersi, con varie diramazioni, verso Sud. Oggi dette vie transappenniniche fanno la fortuna di comuni limitrofi al Belvedere, vedi Via degli Dei, Via della lana e della seta, Via Mater Dei ed altre ancora. Qui, purtroppo, vi è una sola idea fissa : gli sci e le seggiovie multiposto. Non ci si è accorti che in 60 anni è cambiata la società ed il turismo. L’importante è lavorino ruspe, si facciano gettate di cemento e si costruiscano tralicci. Chiudo il mio commento dicendo che la zona in questione era, forse, abitata o frequentata nell’età del bronzo a causa di simboli incisi nei sassi e forse prima data la presenza di selci meso-neolitiche a Pianaccio ed ai Bagnadori.
L’unica casa è stata ristrutturata, se ricordo bene, tra fine anni 60 e primi 70 da almeno una famiglia che si era trasferita lì nei mesi estivi. Esperienza dura, durata poco. Solo per fare la spesa era necessaria una lunga camminata fino a Pianaccio (a quel tempo dotato di diversi negozi) e un duro ritorno carichi del necessario