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Passeggiando sui colli bolognesi – 2

 

Quel calanco è tutta la storia della nostra terra.

Quante epoche ha attraversato, quanta acqua ha visto scorrere, quanta acqua ha visto scomparire, quanto calore ha assorbito, quanta ghiaccio lo ha oppresso e quanto sole lo ha liberato.

Camminavano con delicatezza sul sentiero che lo attraversava, lui guardava per terra, chissà mai se con bel po’ di fortuna non vedesse un fossile, lei davanti testa alta passi corti ma ben decisi, si sentiva improvvisamente libera e forte. Una sensazione di potenza che spazzò via nell’aria delicata di inizio giugno quel senso di inadeguatezza che l’aveva presa a guardare il calanco dall’alto della torre.

Si fermò e si voltò, aprì le braccia e si fece avvolgere dal vento in un tenero abbraccio, lui la guardò e si accorse ancora una volta di quanto fosse bella, la voleva raggiungere ma lei rise e scappò.

Arrivò al punto in cui il calanco si fa pari e colorato, dove vecchio ferro spegne il grigio dell’argilla e accende di rosso rame l’antica terra. Salì su una panchina e guardò verso est, ecco Zappolino, ecco da dove erano partiti, sembrava così vicino eppure erano già passate tre ore cammino. Calmo cammino, rilassante cammino che non li aveva stancati, almeno fino a quel momento.

Anche alla panchina lei non si fece raggiungere, ridendo si incamminò verso la scalinata che scalava il calanco. Vi erano altri sentieri segnati e indicazioni chiare su dove andare. La tentazione di seguirli era grande ma riuscirono a tenere salda l’idea iniziale.

Mentre lui fotografava i colori contrastanti ed incredibili di quella fine primavera, con il verde dei campi a far da sfondo al grigio dell’argilla incorniciato dal giallo acceso delle ginestre, lei saliva la scala, un passo  per scalino fino alla prima curva, lì si fermò con un po’ di fiatone, lo aspettò. La prese per mano e insieme proseguirono il breve tratto di salita che rimaneva.

Arrivarono in Via Volta in quella strada che lui conosceva molto bene, in quel luogo che a lui faceva venire voglia di una bottiglia di vino.

Arrivarono a Pignoletto e si incamminarono verso sud, verso Castelletto.

Quante volte l’aveva pedalata via Volta. In realtà neanche tante, ma via Volta basta farla una volta da qualunque versante perché ti entri nel cuore e ti rimanga nelle gambe.

Camminavano dall’uscita del sentiero verso Sud, verso Castelletto, la pace regnava incontrastata e neanche un’auto passava accanto a loro. Erano i padroni della strada in quel tratto di crinale che aveva preso il nome di Pignoletto, l’unico vitigno autoctono del bolognese.

La strada taglia in due la collina, la cavalca, in quel tratto è piana, pochi Sali e scendi facilmente affrontabili, alla loro sinistra la Valsamoggia, la Bersagliera, Ziribega, Castelletto dall’altra il modenese, Savignano, Mulino, Magazzeno.

È incredibile come una strada possa cambiare in base al mezzo con cui la stai percorrendo. Più comodo è il mezzo più veloce vai, più ti sembra corta. La velocità però ti fa perdere tanti particolari, lui lo aveva già notato in bicicletta, con le strade che normalmente affrontava, sia in auto, che sui pedali, e lo stava notando ancor di più a piedi, su quel crinale che quando lo affrontava in bici era la fine di immani sofferenze.

Per arrivare su quel crinale bisogna salire e ovunque si salga in via Volta la fatica è immane.

Una volta aveva percorso tutti i versanti in giornata, era salito dalla parte forse più tenera, quella di Castelletto, se si può dire così, era sceso da Invernata e salito dalla parte più dura, da Monteveglio, un vero e proprio muro che solo degli asini possono scalare, e lui lo era, anzi lo è ancora, era sceso da Castelletto ed era salito da Campomaggiore fino al Tenente, lì dove c’è un muro all’altezza dell’azienda vinicola che fa impallidire i pavè fiamminghi, scendendo poi da Monteveglio e andando alla Tagliolina per salire dall’ombrosa e rude Invernata, con quel tratto in cemento da alti pirenei.

In bici spesso aveva notato particolari che in auto non vedeva, eppure nonostante la bassa, obbligata, velocità con cui aveva pedalato per via Volta molti splendidi particolari non li aveva mai notati.

Non aveva mai notato lo splendido podere San Michele, alla curva dove la strada prima scende dolcemente poi altrettanto dolcemente risale, non  aveva mai notato il loro invito alle degustazioni e la voglia di bere un buon bicchiere di frizzante Pignoletto aumentò.

Non aveva mai notato come si vedesse bene MonteBudello, con la sua Chiesa e i suoi agriturismi e non aveva mai notato quella villa davanti all’incrocio con l’Invernata, non aveva neanche mai notato che era in vendita, e non aveva notato la scritta che campeggiava sul muro lato strada.

“L’agricoltore avaro non fu mai ricco.”

Chi non riesce ad essere generoso come la terra che lo ospita non sarà mai ricco.

Lei rimase divertita da quella scritta, e quella villa, sicuramente da ristrutturare in parte, ma ancora ben tenuta con un ampio giardino e chissà anche con del terreno, era molto attraente.

Se non fosse che avevano già comprato forse un pensiero l’avrebbero fatto. Ma erano contenti così, tutto scorreva liscio come quella camminata che ora li aveva portati al Tenente e al cartello di fine di Pignoletto a scendere verso Castelletto.

Lui camminava qualche metro avanti, lei lo guardava assorto nei pensieri, prese il cellulare e gli scattò un paio di foto.

Lui non se ne accorse, guardava la strada scendere vertiginosamente e sparire tra le vigne della collina affianco. Pensò a quanto può essere lunga una strada e quanto sia bello non sapere quanto lo sia, ma che l’unica cosa importante era di avere un buon compagno di viaggio. Perché star soli ogni tanto è anche bello, ma da soli non si arriva mai da nessuna parte.

Si fermò e l’aspettò, si baciarono e continuarono a scendere verso il Rio Orsello e Castelletto. Arrivarono all’incrocio dopo aver visto l’ultimo papavero solitario sbucare in mezzo al grano ancora verde, come a salutarli, come ad indicare la via.

Erano a Castelletto, via Volta era stata più lunga del previsto ma anche molto più bella di quanto si aspettassero. La fatica cominciava a sentirsi e la voglia di Pignoletto era stata soppiantata da quella di una bella birra ghiacciata. Il bar a Mercatello era laggiù in fondo alla strada. Allungare qualche centinaio di metri non sarebbe stata la fine del mondo, e per una bella Birra ghiacciata sarebbero arrivati anche fin su al Castello!

Quanto può essere lunga una strada?

Se lo era chiesto guardando via Volta precipitare tra le viti e non si era riuscito a dare una risposta.

Si accorse arrivato sul fiume che una strada seppur corta può essere infinita, come quei venerdì al lavoro, verso le 16, che più guardi l’orologio e meno le lancette si muovono. Devi uscire alle 17, ma da ore restano le 16.

L’avevano già fatto diverse volte il lungo fiume del Rio Orsello dalla parte del campo, mentre dalla strada era la prima volta e forse sarebbe stata anche l’ultima.

Più si avvicinavano alla trattoria più sembrava si allontanasse. L’asfalto crea allucinazioni, frena, rallenta incolla, intrappola il cammino in una monotonia da cui, o scappi in fretta, oppure ne resti inghiottito.

La bottiglia dell’acqua era ormai vuota, ma loro desideravano solo una cosa, una fresca bionda e briosa birra media, unico ristoro che gli serviva per completare il giro con l’ultimo tratto che mancava.

La trattoria si fece sempre più grande, nonostante tre passi sembrassero uno arrivarono nel retro bottega, girarono l’angolo per entrare e si immobilizzarono.

Lunedì turno di riposo, chiuso.

Tutto potevano immaginare tranne che dopo due mesi di quarantena fosse rispettato il giorno di riposo.

Ma alla fine era giusto così, era anche quello un modo per tornare ad un’apparente normalità.

Avviliti, stanchi e assetati, attraversarono il ponte e scesero lungo la piana di Sant’Appollinare dirigendosi verso la chiesa.

Quella piana per loro era sempre rilassante, quella Chiesa, da dovunque la guardassero, era sempre portatrice di pace. Pensarono che solo un’ora prima l’avevano vista dall’alto di via Volta e ora erano a pochi metri da lei. Si motivarono a quel pensiero, e guardarono verso quella strada.

Gli parve di vedere un cuore, anzi due. Un campo, con al centro un piccolo boschetto, racchiudeva due cuori nel loro confine. Rimasero ammaliati da quella visione, ammaliati e sempre più innamorati.

Passarono accanto alla chiesa, si fecero un segno di croce, e presero la stradina verso Castelletto.

Arrivarono al campo da basket, la fontana l’avevano sempre trovata chiusa, con disperazione lui si avvicinò e provò ad aprirla. Un bel getto  sgorgò fuori e continuò a sgorgare. Ci si buttò sotto con la testa. Tutto era tranne che fresca, ma la sete era tanta e con ancora un po’ di quella in bottiglia riuscirono ad irrigare il deserto che si era creato in gola.

Attraversarono Castelletto, in piazza alcuni bambini giocavano tra di loro incuranti delle restrizioni ancora in essere, il paese stava riprendendo colore e vita, a dargli forza e voce quei ragazzi che più di tutti avevano dovuto rinunciare al loro tempo, un tempo che non sarebbe tornato mai più. Se lo stavano andando a riprendere e nessuno, nemmeno i carabinieri, avevano il coraggio di fermarli. Lei si ricordò di quel giorno di Aprile in cui si recò in farmacia, si ricordò del paese deserto, della nuova piazza, vuota, silenziosa, grigia, addormentata in un letargo tardivo di inizio primavera che terminava alle porte dell’estate. Non lo diede a vedere ma si commosse, strinse forte il braccio del suo compagno, guardò dritto davanti a lei e vide il bar aperto.

Lo guardò e sorrise, un sorriso tenero e fresco come la birra che finalmente rinfrescò i loro corpi.

Si alzarono rivitalizzati dal tavolino del Bar e si incamminarono sicuri verso Ziribega. Mancava l’ultimo pezzo, scendere alla Bersagliera e salire da Via Paradiso per arrivare, tramite il calanco, in via Merlino a Zappolino.

Lui faceva strada contromano nella stretta banchina che da Ziribega scendeva verso Bersagliera. Non si spiegava come fosse possibile negli anni non aver pensato ad una via per i pedoni. Castelletto, come Zappolino e le frazioni che vanno a Savigno, sono senza alcun spazio per chi non vuole usare la macchina ma vuole muoversi liberamente con le proprie gambe.

Non si spiegava il perché in mezzo a tanto verde non si pensasse anche a chi camminava.

Arrivarono in Via Paradiso velocemente ma provati dalla velocità incosciente di troppi automobilisti che prendono il drittone verso Ziribega come una pista da Formula uno.

Salirono costeggiando la vecchia fornace e i giardini fioriti delle villette a lato strada. Nessuna auto li disturbò nel salire a Cà Bosco. Presero il tratto che portava al ristorante di petto, salutando la Madonnina tra i fiori e le rocce del muro di cinta. Imboccarono la strada sterrata dopo aver annusato l’odore di resina e funghi che il bosco emanava, esaltando ancor di più lo splendido casolare ora adibito a Ristorante e Bed and Breakfast.

Preso il sentiero verso il calanco si trovarono al sole, ma era un sole gentile, accompagnato da un’aria Primaverile perfetta per il cammino che lì stava annerendo come pane lasciato in forno qualche minuto in più. Poco sotto il calanco tornarono a vedere la chiesa di Zappolino. Lì erano partiti, sotto le mura del vecchio castello e li dovevano arrivare, all’ombra del campanile fermo alle 11 di mattina ma preciso nei suoi rintocchi.

Superarono il primo tratto di calanco, passarono accanto al vecchio camion arrugginito, ormai era diventato un monumento all’uomo conquistatore della natura, con la Natura che invece si va a prendere il mal tolto. Scesero e risalirono verso Via Merlino, tra i Ciliegi che cominciavano a riempirsi di rossi e profumati frutti.

Attraversarono il podere Colombara, affrontando i poco coraggiosi cagnoni, e si ritrovarono in poco tempo davanti alle vecchie scuole del borgo. Salutarono il signore del negozio e salirono alla Chiesa. Toccarono la porta e si guardarono negli occhi.

Avevano fatto più di 20 km, avevano completato un anello camminando intorno alla loro terra, tra vigne, Ciliegi, vecchi borghi e antichi calanchi.

Si parlavano guardandosi negli occhi, il loro guardarsi faceva rumore.

Ora erano pronti per portare a compimento il loro voto.

Cominciarono a baciarsi e non ricordano ancora quando smisero.

 

Foto di Enrico Pasini

 

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