Sabrina Leonelli – foto dal web
Nel nuovo appuntamento della nostra rassegna “in sicurezza”, conosciamo questa volta Sabrina Leonelli, scrittrice e responsabile del servizio biblioteca e cultura del Comune di Granarolo dell’Emilia.
Attenta alle sfumature delle emozioni umane e dotata di uno stile di scrittura incisivo, che tuttavia colpisce il lettore senza però spiazzarlo troppo, Sabrina è salita all’attenzione del mondo letterario con il primo romanzo Alex sta dormendo (Pendragon) e da allora la sua strada artistica è proseguita con successo e con buoni riscontri da parte della critica di settore, senza che però l’autrice abbia mai perso la sua identità creativa e la propria umiltà, impegnandosi a raccontare storie, per molti aspetti non facili, sapendo però coniugare drammaticità e dolcezza nelle giuste misure e risultando ogni sua opera sorprendente e appassionante.
Il suo ultimo lavoro, Sotto il sole di Damasco, racchiude tutta la complessità dei personaggi e delle sensazioni che la Leonelli è ormai maestra nel far provare anche a noi.
Fai un piccolo bilancio del tuo percorso artistico: la vita della scrittrice ti ha cambiata, fatta evolvere? Frustrazioni o soddisfazioni?
Chi si mette in gioco riceve sempre qualche delusione e sa che non sempre sarà apprezzato e capito. Scrivere è raccontarsi, in fondo, e anche darsi in pasto al giudizio degli altri. Qualcuno ti loderà, e qualcuno denigrerà, forse, il tuo lavoro, ma tanti invece si avvicineranno a te con stima e a volte anche gratitudine, non perché tu sia chissà chi, ma perché magari hai saputo cogliere emozioni o percorrere anfratti dell’animo in cui altri si sono riconosciuti, trovando nelle tue parole significati e forme di comprensione, anche solo per sentirsi meno soli in quei pensieri.
Potrei dire che il mio bilancio è fatto di tante soddisfazioni, perché quelle ti vengono espresse, e di qualche frustrazione per avere dovuto ridimensionare alcuni sogni, ma fa parte del gioco.
Una caratteristica che non deve mai mancare in una tua storia?
Nelle mie storie vorrei che non mancasse mai l’aspetto interiore, che la superficie narrativa può a volte nascondere. Vorrei essere capace di renderla trasparente, anche quando non espressamente dichiarata, perché i personaggi siano delineati nella loro complessità, perché il contesto sia chiaro nelle sue sfumature, e le motivazioni rispetto a scelte e azioni percepite attraverso uno strato profondo che dà senso o anche non senso alla storia.
Una critica costruttiva (o autocritica) che ti ha aiutato a migliorare il tuo stile narrativo?
Negli anni ho imparato ad ‘asciugare’, a rendere immediata la narrazione, cercando allo stesso tempo di non smarrire la ricchezza delle descrizioni, rinunciando a qualche metafora, che nella vita a volte aiuta a interpretare le situazioni; ma la scrittura è altro da sé e comprenderlo significa sapersi astrarre e in fondo attingere proprio dalla scrittura ‘pulita’ per vivere la vita di tutti i giorni. Mi piace questo scambio: è forse puntare all’essenziale?
Se dovessi rinunciare alla scrittura, c’è una espressione artistica alla quale ti dedicheresti, in alternativa?
Scrivo da sempre ovunque e su qualsiasi cosa mi capiti attorno. Se dovessi fare a meno della scrittura mi rivolgerei all’espressione fisica, come la danza, o artistica, come la pittura: adoro la rappresentazione della realtà attraverso il corpo e i colori.
Il lettore di oggi: pigro e svogliato o ancora partecipe e appassionato?
Il lettore di oggi, secondo me, sa ancora appassionarsi alle belle storie; per alcuni saranno perfette quelle disimpegnate, per altri quelle più ricche di spunti per riflettere. Svago e approfondimento: la lettura offre questa duplice possibilità, oltre al fatto di farti vivere mille vite! Ognuno poi propende per la sua, magari a seconda degli stati d’animo e dei momenti della vita che attraversa.
Un libro famosissimo che non ti ha particolarmente colpita a perché?
Per quanto riguarda la letteratura con la L maiuscola: “Kafka sulla spiaggia” di Murakami perché non mi ritrovo nelle ambientazioni dell’autore e nella forma onirica del racconto, comprendo la forza dello stile narrativo e del linguaggio, ma non è nelle mie corde quel tipo di lettura. E’ un mio limite: non mi capacito della pioggia di pesci dal cielo, anche se so che è un fenomeno che si verifica realmente. Un altro esempio, a mio avviso, ma di letteratura con la L minuscola, che ha avuto grande successo ma che mi ha profondamente deluso e annoiato è “La verità sul caso Quebert”, di Dicker. Non amo le storie, specie quelle a tinte fosche, tirate troppo per le lunghe, quelle famose duecento pagine di troppo che molti libri di quel genere hanno. Troppi dettagli e particolari che appesantiscono invece che dare vita a uno schema di intrecci e suscitare suspance. E non ho più letto nulla di lui. Ma forse è a causa di un lontano ma affascinante esame all’università, di sociologia della letteratura, il cui corso monografico era incentrato sulle regole della narrativa gialla (i veri gialli: dal colore della copertina delle prime edizioni) e da allora scarto o assolvo in base a come sono costruiti. E quasi sempre un libro merita proprio in virtù del rispetto di quei canoni narrativi.