BOLOGNA: La morte di Giuseppe Gazzoni Frascara

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Giuseppe Gazzoni Frascara – ph dalla “Collezione Luca e Lamberto Bertozzi”
Nipote d’arte, a lui resta legata l’operazione-salvataggio con cui il 28 giugno 1993 acquistò il Bologna dopo l’onta del fallimento, ponendo le basi per la
ricostruzione della società e della squadra, finita di nuovo in Serie C1.
In quel momento di gloria, tra la gente rossoblù che lo ringrazia di avere acceso
la luce nel momento più buio della storia, si fissa l’istantanea migliore della sua
avventura, che parte da lontano.
Giuseppe Gazzoni Frascara nasce a Torino il 15 ottobre 1935, frequenta il bel
mondo dell’industria di vertice a partire dalla famiglia Agnelli, si laurea in
Farmacia, si specializza a Oxford e prende in mano l’azienda di famiglia,
fondata e portata al successo dal nonno Arturo. La cederà a un gruppo svizzero
alla fine degli anni Novanta.
Quando fa il gran passo, nei giorni caldi del 1993, ha già sponsorizzato il
Bologna e ha già resistito più d’una volta all’invito a impegnarsi in prima
persona
«Si fa presto a parlare o lavorare coi soldi degli altri» è una delle sue
frasi ricorrenti, espressione del suo crudo realismo di uomo rispettoso dei
bilanci; questa volta a spingerlo, con qualche compagno di viaggio destinato a
restare in secondo piano, è quello che chiama un “dovere civico”.
Niente di più, ma anche niente di meno.
Sguardo perennemente corrucciato, un’attenzione maniacale ai bilanci, per
anni la sua figura spicca per saggezza nel panorama del calcio italiano, anche
se gli entusiasmi iniziali del tifo si raffreddano di fronte alla sua scarsa
comunicativa e ai suoi modi schivi di silenzioso aristocratico.
In tre anni, azzeccando dopo una stagione di assestamento la scelta di Renzo
Ulivieri per la panchina, riporta la squadra ai fasti della Serie A. E in A la farà
vivere bene, con tanto di vittoria nel Torneo Intertoto nel 1998, con tanto di
entusiasmi ribollenti per le prodezze di Roberto Baggio.
Poi, arriveranno i passi falsi. Quando decide di uscire dal seminato delle spese
razionali, lasciandosi coinvolgere dalle follie del mercato e investendo
quarantacinque miliardi di lire per Locatelli e Cruz, le fondamenta economiche
del club e del suo patrimonio cominciano a scricchiolare.
Si fa molti nemici denunciando il “doping amministrativo”, l’ingiustizia di un
sistema che non punisce chi, infrangendo allegramente le regole fiscali, può
sovrastare per forza tecnica chi invece rispetta la legge e le esigenze del
bilancio. Quando rompe con Moggi e gli amici della Juventus, la squadra gli
scappa di mano: con un incredibile scivolone, nella primavera del 2005, da
ambizioni di piazzamento Uefa il Bologna precipita in zona retrocessione e alla
fine lo spareggio col Parma lo condanna alla B.
Una retrocessione ingiusta, contro cui Gazzoni, che nel settembre 2001 (causa
pesanti contestazioni dei tifosi) ha ceduto la presidenza a Renato Cipollini, si
batte in estate come un leone nei giorni roventi del “caso Reggina”, cozzando
inutilmente contro un sistema di potere che di lì a un anno verrà travolto da
uno scandalo senza precedenti.
Sconfitto, annuncia l’intenzione di lasciare: il 30 settembre 2005 cede il
Bologna ad Alfredo Cazzola (50 per cento), al suo ex socio Mario Bandiera e a
Renzo Menarini (25 a testa). Di lì a poco il fallimento della sua finanziaria
provocherà il tracollo del suo patrimonio personale.
Lamberto Bertozzi

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