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martedì, Gennaio 21, 2025
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PARCHI NEL CUORE: Tra feste e ciaspole

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7 dicembre – Ciaspole sotto le stelle

Parco del Corno alle Scale

Ciaspolata notturna oltre il limite degli alberi per raggiungere il Rifugio Duca degli Abruzzi situato nei pressi del Lago Scaffaiolo. Un’esperienza in grado di unire il fascino della montagna innevata al calore di una cena montanara.


8 dicembre – Bambini a spasso con le ciaspole

Parco del Corno alle Scale

Passeggiata guidata con le racchette da neve alla scoperta della montagna imbiancata: splendidi panorami appenninici tra praterie d’alta quota, i boschi più selvaggi e le tracce furtive degli animali.


8 dicembre – Ciaspole sotto le stelle

Parco del Corno alle Scale

Ciaspolata notturna oltre il limite degli alberi per raggiungere il Rifugio Duca degli Abruzzi situato nei pressi del Lago Scaffaiolo. Un’esperienza in grado di unire il fascino della montagna innevata al calore di una cena montanara.


8 dicembre – Ciaspoliamo

Parco del Corno alle Scale

Passeggiata guidata con le racchette da neve alla scoperta della montagna imbiancata: splendidi panorami appenninici tra praterie d’alta quota, i boschi più selvaggi e le tracce furtive degli animali.


8 dicembre – Trekking col treno

Parco dei Gessi bolognesi e calanchi dell’Abbadessa
CAMMINATA PER TELETHON
Tutte le informazioni sono reperibili sul Sito: www.trekkingcoltreno.it


9 dicembre – Ciaspole sotto le stelle

Parco del Corno alle Scale

Ciaspolata notturna oltre il limite degli alberi per raggiungere il Rifugio Duca degli Abruzzi situato nei pressi del Lago Scaffaiolo. Un’esperienza in grado di unire il fascino della montagna innevata al calore di una cena montanara.


10 dicembre – Bambini a spasso con le ciaspole

Parco del Corno alle Scale

Passeggiata guidata con le racchette da neve alla scoperta della montagna imbiancata: splendidi panorami appenninici tra praterie d’alta quota, i boschi più selvaggi e le tracce furtive degli animali.


10 dicembre – Ciaspoliamo

Parco del Corno alle Scale

Passeggiata guidata con le racchette da neve alla scoperta della montagna imbiancata: splendidi panorami appenninici tra praterie d’alta quota, i boschi più selvaggi e le tracce furtive degli animali.


Grassa gallina (Valerianella)

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Valeriana nel cestino

Il cielo grigio e la pioggia di questi giorni fanno pensare che la primavera è un miraggio lontano. Eppure timidi segnali di “prove di primavera” si possono cogliere qua e là nei boschi e nei campi del nostro Appennino Bolognese.
I cercatori di funghi hanno iniziato a perlustrare i boschi alla ricerca dei primi funghi primaverili e capita di vedere persone chine sui campi a raccogliere radicchi o grassa gallina (grasa galeina in dialetto bolognese) con cui si preparano squisite insalate.
La grassa gallina, il cui nome scientifico è valerianella, è un’erba selvatica che si raccoglie a primavera nei campi, soprattutto vicino ai vigneti e predilige le zone assolate.
La grassa gallina è ottima mangiata cruda in insalata, ma si può anche gustare cotta.
Alcune ricette.

Grassa gallina con pancetta
Ingredienti: 300 gr. di grassa gallina – 50 gr. di pancetta a cubetti – sale – pepe – olio extravergine di oliva –
Procedimento: pulire la grassa gallina con cura. Lavarla e asciugarla bene. In una padella antiaderente fare rosolare la pancetta in un cucchiaio di olio extravergine di oliva. Fare asciugare i cubetti su un foglio di carta da cucina. Mettere la grassa gallina in una ciotola, unire i cubetti e condire con poco sale, pepe e olio extravergine di oliva. Amalgamare bene gli ingredienti.

Crema di grassa gallina
Ingredienti: 300 gr. di grassa gallina – 2 patate – 50 gr. di burro – 1 litro di brodo – sale – parmigiano grattugiato q.b. – olio extravergine di oliva –
Procedimento: pulire e lavare la grassa gallina e asciugarla bene. Tagliare le patate a cubetti e metterle insieme alla grassa gallina in una pentola dove prima si sarà sciolto il burro. Unire il brodo e fare bollire per circa 30 minuti. Trascorso questo tempo togliere dal fuoco e passare al passaverdura. Cospargere con parmigiano reggiano e un filo d’olio extravergine di oliva.
Servire la crema calda con crostini di pane.

(notizie e ricette sono tratte da “Cucinare con erbe, fiori e bacche dell’Appennino – Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

Zuppa di pane con porri e sedano rapa

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sedano rapa

Nel suo libro “Cucina teorico-pratica col corrispondente riposto ed apparecchio di pranzi” Ippolito Cavalcanti riportava, fra varie zuppe, quella preparata con il pane.
Zuppa di pane semplice
Prendi le pagnotte di pane fresco, ne toglierai la corteccia o con la grattugia o con coltellone, le fatterai, suddividendo le fette in tanti piccoli dadi, li friggerai, e di questo pane ti servirai per le zuppe semplici. Quando dovrai servirla porrai il pane nella zuppiera riempendola di brodo”.
La zuppa esiste dalla notte dei tempi. Non appena l’uomo della caverna forgia un recipiente di pietra incavato resistente al fuoco, lo riempie di acqua, ci mette delle granaglie raccolte negli sterpi e…nasce la zuppa. Non quella di oggi, ma un’antesignana brodaglia.
Zuppa che con il pane ha il profumo di casa.

Zuppa di pane e porri
Ingredienti (per 4 persone): 3 porri bianchi – 2 sedano rapa – 3 bicchieri di latte – 6 fette di pane raffermo – 1 litro di brodo di verdure – olio extravergine di oliva q.b. – 1 manciata di pistacchi – sale – pepe – crostini di pane tostato –
Procedimento: Sbucciare, lavare e grattugiare il sedano rapa. Pulire, lavare e tagliare a rondelle sottili i porri. Tagliare il pane a dadini.
In una pentola mettere 3 cucchiai di olio extravergine di oliva, unire le verdure (sedano rapa e porri) e versare il brodo.
Aggiungere il pane e lasciare cuocere almeno per 10 minuti. Versare il latte e, quando le verdure sono molto morbide, raccoglierle con un mestolo forato e frullarle. Salare e pepare.
Dividere la zuppa in 4 fondine e cospargere con pistacchi tostati e tritati grossolanamente.
Servire la zuppa calda accompagnata con crostini di pane tostato.

(Curiosità e ricette sono tratte da “Inzuppiamoci! Se non è zuppa è pan bagnato – Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

Sfrappole di Carnevale

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Sfrappole bolognesi

A Bologna a Carnevale, per tradizione, si preparano le sfrappel (sfrappole) simili nella composizione ad altri dolci che si fanno per l’occasione in altre regioni d’Italia. La differenza consiste nella confezione: la pasta prima di essere tuffata nell’olio bollente, viene annodata come per fare un fiocco e il risultato è un anello piuttosto largo con i due lembi che si staccano aprendosi, dal nodo, chiamato “noto di Savoia”.
Le sfrappole venivano accompagnate con il “lattemiele” , una vera leccornia oggi caduta in disuso. Una crema preparata con mascarpone, latte e zucchero vanigliato che accompagnava le sfrappole.

Sfrappole
Ingredienti: 300 gr. di farina 00 – 50 gr. di zucchero semolato – 50 gr. di burro – 2 cucchiai di cognac o rum – un pizzico di sale – 4 uova (solo i tuorli e un albume) – olio di semi o strutto per friggere – zucchero a velo –
Procedimento: disporre sulla spianatoia la farina a fontana, aggiungere lo zucchero e nel centro mettere i tuorli d’uovo, il burro ammorbidito a temperatura ambiente, e il cognac (o rum) e per ultimo l’albume montato a neve. Impastare bene gli ingredienti e fare riposare l’impasto in frigorifero per mezz’ora.
Trascorso il tempo tirare una sfoglia sottile. A Bologna si dice che si deve vedere la Basilica di San Luca attraverso la sfoglia.
Con una rotella dentata tagliare delle strisce larghe due dita e lunghe circa 12 cm. Annodarle formando il famoso nodo di Savoia e friggerle in abbondante olio di semi (o strutto).
Mettere le sfrappole ad asciugare su carta da cucina e servirle cosparse di zucchero a velo.

Curiosità e ricetta tratte da “Bologna la dolce. Curiosando sotto i portici fra gli antichi sapori” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni).

I dolci del Befanone

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Ciabatte 2

Molti dolci bolognesi venivano preparati in occasione di ricorrenze religiose. Nel mese di gennaio, il girono 17, si festeggiava Sant’Antonio Abate, detto anche il Grande Sant’Antonio d’Egitto o Sant’Antonio del Fuoco, protettore degli animali domestici e raffigurato solitamente accanto a un maiale con al collo una campanella.
La sua immagine era spesso inchiodata all’uscio della stalla, a protezione degli animali.
A Bologna e nelle campagne bolognesi, questa ricorrenza è conosciuta con il nome del giorno del Befanone. In questa occasione, che era anche il giorno della benedizione degli animali nella stalla, nelle cucine bolognesi si preparavano le Ciabatte di Sant’Antonio. Questi dolci, che ricordano i savoiardi, sono tipici di San Giovanni in Persiceto, un paese della campagna bolognese. Il nome deriva dalla forma di un calzare.
Le ciabatte di Sant’Antonio non sono l’unico dolce che si preparava il 17 gennaio. Nel giorno di Sant’Antonio a Bologna era usanza portare a benedire i cani, ormai ornati con nastri rossi nella chiesa di San Giovanni in Monte. A fine ‘800 Don Buttazzi, un prete corpulento e fautore della tradizione, era noto a Bologna come él prit di can (il prete dei cani).
Per festeggiare questa ricorrenza si preparavano dei biscotti per i cani: i collari di Sant’Antonio, biscotti che potevano essere mangiati tranquillamente anche dai proprietari, trattandosi di semplici biscotti preparati con la pasta della brazadéòa, senza limone, e guarniti con diavoletti rossi

Collari di Sant’Antonio
Ingredienti: 250 gr. di farina 00 – 100 gr. di burro – 100 gr. di zucchero – 1 uovo intero – ½ bustina di lievito per dolci – un pizzico di sale – latte q.b. – per guarnire: diavoletti rossi –
Procedimento: disponete la farina a fontana, mettete al centro le uova intere, lo zucchero il burro ammorbidito, il lievito e un pizzico di ale. Impastate bene aggiungendo la quantità di latte necessaria per ottenere una pasta omogenea. Lasciatela riposare in frigorifero mezzora, poi tirate la pasta a sfoglia alta circa 2 centimetri.
Tagliate con un taglia biscotti a forma rotonda o di osso dei biscotti che decorerete con i diavoletti rossi.
Cuocere in forno preriscaldato a 180° C. per 10-12 minuti.

Curiosità e ricetta tratti da “Bologna la dolce. Curiosando sotto i portici fra gli antichi sapori” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

Intervista a Giuliano del Ristorante L’Oasi di Sasso Marconi

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Staff ristorante Oasi

Fotografia di CarFa Images

Oggi incontriamo Giuliano Facchini nato e cresciuto tra le province di Modena e Bologna, al confine con il territorio ferrarese. Giuliano è titolare insieme alla socia Anna del ristorante L’Oasi di Sasso Marconi. L’Oasi è anche hotel e fanno parte dello Staff anche Serena, figlia di Anna, e Andrea, figlio di Giuliano.
Giuliano lavora nel campo della ristorazione da 40 anni e può raccontare, senza peccare di presunzione, i cambiamenti avvenuti nel corso del tempo nel piacere di preparare e gustare il cibo.

Quando è nata la tua passione per la gastronomia?
Da bambino. Avevo undici anni quando, oltre a studiare, ho iniziato a lavorare in un ristorante.
Passione che ti accompagna ancora oggi. Tu però non nasci chef
E’ vero. Ho lavorato come maitre al ristorante “Cantunzèin” in centro a Bologna, al Cavalieri Hilton di Roma e all’estero, in Scozia. Nel 1988 ho preso in gestione L’Oasi insieme ad Anna.

E sei passato ai fornelli. Quando è cambiato il modo di cucinare da allora?
Molto. Si è passati da una ristorazione “grassa” con portate abbondanti e un uso esagerato di grassi a una cucina scenografica come la nouvelle cuisine per tornare ai piatti della tradizione con un’attenzione particolare al gusto e alla salute.

Parlando di salute in questi ultimi tempi è aumentato il numero di persone che ha deciso di rinunciare alla carne per scelta o per motivi appunto di salute. Nel vostro ristorante nel menù troviamo piatti per vegetariani?
Non abbiamo un menù vegetariano, ma possiamo preparare piatti di verdura.

In questo periodo di crisi il cliente è più attento al prezzo o alla qualità?
C’è una grande attenzione ai prezzi, ma nello stesso tempo si cerca di non rinunciare alla qualità. Si ordina un primo piatto e niente bis e si portano a casa le pietanze che non si sono mangiate.

Tu che sei gestore di un ristorante vai a mangiare negli altri ristoranti?
Negli ultimi tempi raramente per vari motivi legati all’organizzazione del ristorante. Andare a mangiare negli altri ristoranti però è importante per vedere cosa propongono.

Quali sono i punti di forza di un menù in grado di attirare persone e stuzzicare i palati più esigenti?
Primo punto di forza la scelta delle materie prima. La qualità è importante. Secondo seguire la stagionalità. L’Oasi propone le verdure e la frutta di stagione. Nei periodi in cui possiamo reperirli freschi, per esempio, si possono mangiare gli asparagi o le patate novelle. Utilizziamo anche prodotti del nostro territorio. Accanto ai piatti stagionali proponiamo piatti base che si possono trovare tutto l’anno nel nostro menù.
Naturalmente non mancano i piatti della tradizione: le tagliatelle al ragù, il carrello dei bolliti e i dolci del nostro territorio.

Al ristorante L’Oasi si può gustare anche un menù di pesce?
Sì. Menù di pesce che è fra i preferiti dalla clientela durante le festività. Si possono gustare le linguine allo scoglio, la catalana e il pesce viene spinato sempre davanti al cliente.

La clientela dell’Oasi è anche di passaggio. Cosa mangiano i turisti?
I turisti sono attirati dai primi piatti: tortellini, tagliatelle, ravioli ecc. Al fascino della pasta fresca all’uovo fatta a mano non si può resistere.

So che coccolate i turisti anche in altro modo. Quale?
I turisti all’Oasi oltre a gustare piatti della nostra tradizione possono trovare materiale informativo sulle attrattive turistiche della zona e noi siamo sempre a disposizione per consigli e informazioni.

Non ho dubbi conoscendo Giuliano e il suo Staff.
Giuliano non ha detto che un altro punto di forza del Ristorante L’Oasi è la passione con cui da quarant’anni lui fa questo lavoro. Senza mai stancarsi di sperimentare e la calorosa accoglienza da parte di tutto lo Staff.
All’Oasi si viene sempre accolti in modo “speciale” e coccolati.
Saluto Giuliano e me ne vado con un omaggio gradito e profumato: una splendida rosa.
Per maggiori informazioni: http://www.loasi.biz

La Pinza (Carsént ed Nadél)

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pinza 1

A Bologna per le festività natalizie si prepara il certosino (o panspeziale) nelle campagne il panone, mentre sull’Appennino Bolognese è tradizione preparare la pinza (carsént ed Nadèl).
La pinza è un dolce ricco e la sua preparazione richiede come ingrediente principale la mostarda bolognese, mentre la pasta è la stessa delle raviole e della brazadéla.
Allora che differenza c’è? State certi che la differenza esiste, non solo nella forma, ma anche negli ingredienti che compongono il ripieno, molto più ricco del ripieno delle raviole.
La pinza viene preparata per onorare le feste e deve essere opulenta.

Pinza (Carsént ed Nadél)
(ricetta per 2 pinze)
Ingredienti: per la pasta: 1 kg di farina 00 – 400 gr. di burro – 400 gr. di zucchero – 4 uova – 2 bustine di lievito per dolci – scorza grattugiata di due limoni biologici – un pizzico di sale – latte q.b. –
Per il ripieno: 400 gr. di mostarda bolognese – 150 gr. di marmellata di prugne – 60 gr. di pinoli – 100 gr. di uva sultanina ammollata nel vino –
Per decorare: zucchero semolato – 1 tuorlo d’uovo –
Procedimento: preparare la pasta: su un tagliere setacciare la farina e il lievito a fontana e romperci le uova dentro. Unire lo zucchero e sbattere leggermente con una forchetta. Aggiungere un pizzico di sale, la scorza grattugiata dei limoni e la quantità di latte necessaria per ottenere un impasto morbido e omogeneo.
Impastare e formare una palla che farete riposare mezz’ora in frigorifero.
Nel frattempo preparare il ripieno: in una ciotola mettere la mostarda bolognese, la marmellata di prugne, l’uva sultanina tolta dal vino e strizzata fra le dita. Mescolare con un cucchiaio di legno e unire i pinoli.
Prendere l’impasto e dividerlo in due parti uguali.
Accendere intanto il forno e farlo riscaldare. Preparare la placca rivestendola con carta da forno.
Mettere sul tavolo un altro pezzo di carta da forno delle stesse dimensioni, spolverizzare con un po’ di farina e appoggiarci sopra una delle due parti dell’impasto.. Con l’aiuto di un mattarello stendere la pasta e formare un rettangolo di mezzo centimetro di spessore.
Distribuire sulla pasta stesa qualche cucchiaiata del ripieno e arrotolare dal lato corto. Appiattirlo leggermente con le mani e con l’aiuto della carta da forno trasferire il rotolo sulla placca del forno.
Fare la stessa cosa con la seconda parte dell’impasto e trasferirlo sulla placca ben distanti uno dall’altro.
In una tazza sbattere il tuorlo d’uovo e spennellare la superfice della pinza. Cospargere il dolce con un po’ di zucchero semolato e fare qualche taglio per favorire l’uscita del vapore.
Infornare e lasciare cuocere a 180° per 40-45 minuti fino a quando la pinza non sarà bella dorata.

Curiosità e ricetta tratte da “Bologna la dolce. Curiosando sotto i portici fra gli antichi sapori” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

Vov fatto in casa

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vov

“Da bambini, nelle mattine d’inverno, abbandonare il tepore della cucina economica era un atto di coraggio, oltre che l’assolvimento dell’obbligo scolastico.
Dopo aver fatto colazione con pane e latte caldo si usciva di casa, rigorosamente soli, perché anche per i più piccoli l’essere accompagnati sarebbe stato motivo di scherno. Prima di uscire, nelle giornate più fredde, mi davano, in un bicchierino piccolo come un ditale, un dito di una bevanda forte, dal sapore graditissimo. Affrontavo la giornata con coraggi oed allegria: era merito del Vov casalingo, di cui riporto la ricetta utlizzata da nonna
Elena” (ricordo di Barbara Tattini)
Il Vov di Nonna Elena
Ingredienti: 1 bottiglia da 750 ml di Marsala secco – 750 gr. di zucchero – 8 uova – 10 limoni grandi – 1 stecca di vaniglia – 1 litro di alcool (tipo Buongusto) –
Procedimento: lavare bene le uova con un ospazzolino, sciacquarle ed asciugarle. Metterle in un vaso di vetro largo a chiusura ermetica (di quelli con la guarnizione di gomma). Spremere i limoni e versare il succo filtrato sulle uova finché non sono completamente coperte. Sigillare il vaso e tenerlo fermo per una decina di giorni (nonna lo metteva tra i doppi vetri ma non credo che l’azione della luce sia necessaria).
I gusci delle uova (composti principalmente da carbonato di calcio) si scioglieranno a contatto con l’acido citrico, ma le uova rimaranno integre grazie alla loro pellicola interna. Sbattere il vaso, filtrare il contenuto con un colino versandolo in un altro vaso di vetro più capiente. Unire lo zucchero, il marsala, la vaniglia e l’alcool.
Conservare il vaso per una settimana agitandolo ogni giorno per far sciogiere bene lo zucchero. Filtrare il contenuto, mescolarlo e imbottigliarlo.
Il liquore è pronto dopo un mese e si mantiene a lungo.
Prima di versarlo occorre agitare la bottiglia.
(tratto da “Il profumo dei ricordi Loiano” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

La zuppa del Duca

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Tiramisù

Con questo nome forse non la conoscete, ma se vi dico “Tiramisù” il coro unanime è: “va beh chi non l’ha mai mangiato”.
Non tutti forse sanno l’origine di questa zuppa dolce che pare risalga alla fine del XVII secolo quando, in occasione di una visita alla città di Siena, del Granduca di Toscana Cosimo III de’ Medici, fu preparata questa specialità chiamata in suo onore “Zuppa del Duca”.
Cosimo III de’ Medici era molto goloso e la ricetta lo seguì alla corte di Firenze crocevia di intellettuali e artisti provenienti da ogni parte d’Italia e del mondo.
Fu così che la “Zuppa del Duca” divenne famosa e oltrepassò i confini del Granducato per approdare a Treviso e infine a Venezia dove diventò il dolce preferito di cortigiani e dame (pare avesse proprietà afrodisiache).
Si diffuse l’abitudine di consumarne abbondanti porzioni prima di un incontro amoroso e la “Zuppa del Duca” cambiò nome in “Tiramisù”:

Ingredienti per 6 persone: 600 gr. di mascarpone – 100 gr. di zucchero – 5 uova- 300 gr. di savoiardi – 1 tazza di caffè – 1 bicchiere di liquore Marsala – cacao amaro in polvere q.b. –
Procedimento: separare i tuorli dagli albumi. Montare con le fruste elettriche i tuorli co lo zucchero fino a ottenere un composto spumoso.
Lavorare il mascarpone con un cucchiaio di legno e unire il composto di uova e zucchero.
Montare gli albumi a neve ben ferma. Mescolare il liquore Marsala con il caffè e inzupparci i savoiardi.
Foderare uno stampo trasparente con uno strato di savoiardi, stendere sopra uno strato di crema al mascarpone, livellarlo e spolverizzare con cacao amaro.
Fare strati alternati e finire con uno strato di mascarpone. Spolverizzare con cacao amaro in polvere.

Curiosità e ricetta sono tratte da “Inzuppiamoci! Se non è zuppa è pan bagnato” (Collana I Quaderni del Loggione – Damster Edizioni)

Risotto al melograno

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Melograno

Il melograno è una pianta originaria da una regione che va dall’Iran alla zona Himalayana dell’India settentrionale, e presente sin dall’antichità nelCaucaso, e nell’intera zona mediterranea.
Il frutto del melograno è costituito da numerosi semi di colore rosso rubino e di sapore acidulo racchiusi in un involucro sferico e coriaceo. E’ricco di antiossidanti, vitamina C (un solo melograno contiene quasi il 20% dell’intero fabbisogno di un uomo adulto), vitamina K, vitamina B, vitamina A, potassio, proteine, carboidrati e grassi. Il melograno è anche ricco di altri minerali, tra cui ferro, calcio, magnesio, fosforo e, in misura minore, manganese e zinco. Apporta poche calorie: circa 60 Kcal per 100 grammi di prodotto. Grazie alla presenza di tannini epolifenoli, questo frutto riduce i radicali liberi. Le antocianine contenute nel succo di melograno sono in grado di svolgere un’azione protettiva nei confronti dei danni da raggi UV. Il suo succo può agire anche come anticoagulante, riducendo il rischio di arteriosclerosi, nonché svolgere anche azione di prevenzione per le malattie cardiovascolari. Il suo consumo regolare aiuta a ridurre il colesterolo.
Il frutto del melograno si può utilizzare in cucina in tanti modi e regala ai piatti o alle bevande un tocco raffinato con il suo colore rubino.
Si può aggiungere alle insalate, alle tartare, alle zuppe, ricavare spremute, salse o usare per rendere speciale lo spumante la sera di Capodanno.
O utilizzare, come in questo caso, per preparare un risotto.

Risotto al melograno
Ingredienti (per 4 persone): 250 gr di riso carnaroli – 1 litro di brodo – 1 cipolla – 3 melograni – 20 gr. di burro – 100 gr. di robiola – sale – pepe –
Procedimento: pulire i melograni. Tenere da parte alcuni chicchi per la decorazione e passare gli altri al passaverdura per ottenere il succo.
Tritare finemente la cipolla e farla imbiondire nel burro. Unire il riso e farlo tostare. Bagnare con il succo dei melograni. Quando è assorbito bagnare con un mestolo di brodo. Continuare la cottura aggiungendo, quando è necessario del brodo.
Quando il risotto sarà quasi cotto aggiungere la robiola.
Mescolare bene e servire il risotto decorato con i chicchi di melograno.

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