L’italiano non si impara a scuola

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Letto un articolo con tale intestazione. Interessante. Faccio un’excursus temporale della mia vita per capire dove abbia imparato l’italiano. Quando trascorrevo mesi a Pianaccio ascoltavo ed imparavo il dialetto locale con termini molto particolari e, specialmente, con una pronuncia non affetta alla c aspirata toscana e neppure alle s tipica di Bologna e dintorni. Le persone, anziani compresi, quando si esprimevano in italiano avevano una precisione lessicale e di pronuncia esemplari. E non si trattava di laureati o diplomati ma di persone con la terza o la quinta elementare. Quando poi si scendeva al piano, transumanza, la famiglia dei nonni era di pastori, si andava in quel di Castelmaggiore dove la lingua parlata era un derivato del bolognese un po’ diverso da quello parlato in centro città, centro città nel quale trascorrevo il periodo scolastico. A scuola la lingua ufficiale era l’italiano. E lì mi venivano in soccorso, istintivamente, quanto appreso a Pianaccio sulla pronuncia e a Bologna e dintorni sui modi espressivi dialettali che rendevano più scorrevole e più fluido l’italiano. Ed intanto, essendo un lettore assiduo, arricchivo il mio bagaglio lessicale con parole e modi di dire di validi scrittori. Il ché mi permetteva di avere sempre ottimi voti nei temi e nelle interrogazioni di italiano. In casa le tre lingue fondamentali erano appunto quella della madre che quando parlava con parenti della montagna si esprimeva in pianaccese e con i negozianti e vicini di casa in bolognese, il bolognese era il dialetto o lingua parlata, allora, dal 90% degli abitanti della città nei comuni rapporti. L’italiano lo usava per coloro che erano estranei a tale mondo. Mio padre, persona istruita ed amante della lettura, si esprimeva in due modi : il bolognese come detto sopra e l’italiano. In casa avevamo la radio e poi la TV ove dai presentatori alla maggioranza degli artisti e partecipanti, politici compresi, si esprimevano in quello che possiamo definire “L’italiano ufficiale”. Talvolta sia in campo canzonettistico che teatrale si ascoltavano modi di esprimersi dialettali. Anche questo, portava arricchimento, a mio avviso, alla cultura di chi ascoltava portandolo a capire che in Italia vi erano tanti modi di esprimersi e di cercare di afferrare il significato ed i sottintesi di quanto espresso. Oggi i dialetti sono stati, praticamente, cancellati, l’italiano parlato dalla Casta politico-burocratica penso che si avvicini al linguaggio dell’Uomo di Neandethal da come è pieno di assurdi neologismi incomprensibili e sgrammaticati, l’uso dei verbi ridotto al presente indicativo e poco più, scomparsa di molti tempi verbali con una infarcitura di termini derivati dall’anglo-sassone da libro delle barzellette. Naturalmente non si scrive più a mano. Il risultato ? Le giovani leve che si trovano bombardate da una pseudo-lingua pseudo-italiano in ogni dove senza avere, almeno, il supporto di un dialetto con centinaia e centinaia di anni di storia e con scrittori ed artisti di altissimo livello, finisce per scrivere, meglio, fare scrivere al computer, o per esprimersi in maniera povera ed approssimativa. Riporto qui una frase, detta in senso ironico da un amico, ma non molto lontana dal vero :”Io go home perché ai am stuff to be qui”. C’è tutto : l’italiano, il dialetto bolognese e, si fa per dire, l’inglese che fa tanto abitante della colonia Italia.

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