Frane, alluvioni…e simili

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Ogni qual volta nel Bel Paese piove un po’ più del solito, ci troviamo dinnanzi ad una sequela di frane d alluvioni. A mio parere, una buona parte di queste disgrazie sono da collegarsi ad una nefasta legge da fine 1800, fatta su pressione dei grandi agrari per togliersi di dosso le proteste bracciantili e di chi sopravviveva in agricoltura, legge che consentiva il disboscamento al di sotto del limite del castagno, circa m 700 s.l.d.m., con trasformazione di dette aree in zone coltivate e con l’insediamento di nuovi agricoltori. Dopo un ventennio ci si accorse di aver dato il via ad una mostruosa macchina di distruzione ambientale e detta legge fu abrogata. Ma intanto in tali zone disboscate si erano stabilite centinaia di migliaia di famiglie costruendosi anche la casa. La cosa fu lasciata così come si trovava. Viene però da dire che tali coloni, oltre ad arare, coltivare, allevare bestiame, provvedevano alla periodica pulizia dei vari torrentelli, corsi d’acqua e fiumi delle loro zone, ripulivano le scoline affianco alle strade per evitare le le acque scorressero nelle vie e rimanessero fuori da dette zone di percorrenza. Malgrado il reiterarsi di frane causate, spesso, dal precedente disboscamento e dalle pratiche di aratura, detto popolamento si mantenne sino a dopo la II Guerra Mondiale. Bisogna dire che tale agricoltura era, nella maggioranza dei casi, una agricoltura misera che consentiva modeste entrate economiche e che, spesso, teneva lontane le famiglie dai centri abitati dove vi erano scuole e centri di aggregazione sociale. Con il boom industriale post bellico ed il bisogno di mano d’opera nei centri produttivi prossimi alle città o alle più vaste cittadine ed anche, in talune zone, ad un più corposo turismo, iniziò lo spopolamento di tali aree agricole. Campi e case abbandonate, piccoli paesi che gravitavano, anche economicamente, su tali aree produttive e di popolazione, progressivamente trasformati in “Paesi fantasma”, praticamente quasi privi di abitanti. Il risvolto negativo, però, non fu solo quello dello spopolamento, ma, dopo, assai più grave, della mancanza di manutenzione dei corsi d’acqua, della pulizia dei margini stradali ed altro ancora. Oltre alle frane legate, spesso, alla mancanza della copertura forestale, si diede il via a disastrose, che potremmo definire con un neologismo, idrovalanghe. Un corso d’acqua, anche piccolo, in ovvia pendenza collinare o montana, finisce per essere sbarrato, in diversi posti, per la caduta di un albero, di uno smottamento di una riva ed altro. Queste specie di dighe trattengono piante secche cadute nell’alveo, sassi, terra ed altro. Fin quando la portata del corso d’acqua è modesta e continua, le cose restano come sono, ma quando avviene una pioggia di notevole intensità, si pensi alle così dette “Bombe d’acqua”, succede che una di queste “dighe” si sfondi precipitando verso valle sospinta sia dall’acqua che ne facilità la discesa, assieme, ovviamente, alla forza di gravità. Gli ulteriori sbarramenti che si trovano più a valle vengono distrutti aumentando la massa degli inerti che precipitano e la relativa forza d’urto. Opere che si trovano lungo il percorso di questo “Maglio” vengono facilmente distrutte anche se costruite con cemento armato ed altri accorgimenti tecnici. Il rischio, poi, per le persone, è facilmente comprensibile. La mancanza di pulizia dei bordi stradali finisce per far scorrere le acque sia di pioggia che di eventuali sorgenti laterali site a monte del piano stradale, nel bel mezzo della strada con cumuli di foglie e vegetali secchi, ghiaia e, in inverno, con ampie superfici trasformate in lastre di ghiaccio. Se si è fatto caso alle foto dei vari fiumi e corsi d’acqua interessati dalle recenti insistenti piogge si è potuto vedere quale enorme massa di alberi si sia trasportata a valle contro ponti e viadotti. Questi tronchi erano da tempo dentro agli alvei fluviali partendo da monte. L’intensità delle piogge li hanno fatto finire nei corsi principali e trasformando questa enorme massa in una delle concause delle alluvioni. Le zone prive di alberatura hanno continuato a dare il loro contributo a far smuovere frane. Come cercare, se non di porre rimedio a questo stato di cose, almeno contenerle? Dobbiamo a questo punto fare un salto in qual si voglia supermercato e leggere cosa c’è scritto sulle confezioni di alcuni prodotti. Partiamo dalle noci, le acquistiamo da : Cile, California, Australia, Francia ed altrove. Passiamo alle castagne. I dati dicono che ne importiamo annualmente oltre 50.000 tonnellate da vari paesi Cina compresa. Molti frutti come nocciole, mirtilli, lamponi ed altri provengono da paesi di mezzo mondo. Tutto questo comporta, per il nostro Paese un sostanzioso esborso di danaro ed una mancanza occupazionale in comparti di agricoltura relativa a tali prodotti. Sembra che le aree agricole abbandonate in Italia assommino a circa 2,5 milioni di ettari. Avete letto bene : 2 milioni e mezzo di ettari. Ebbene ? Cosa impedisce, oggi, di dare una gran parte di queste terre a migranti che fuggono da paesi in guerra, per la coltivazione di : Noci, Castagne, Noccioli ed altro ? Innanzi tutto si tratterebbe di specie arboree atte a consolidare il suolo, in grado di avere un ricco sottobosco di erbe atte a frenare ed assorbire le acque piovane, e, da non sottovalutare, altri aspetti positivi : ripopolamento di borghi semi abbandonati, pulizia degli alvei fluviali e bordo strade. Vi sarebbero alcuni obblighi per queste persone : mandare bimbi e bimbe a scuola, provvedere alla raccolta dei frutti e quelle pulizie cui ho accennato. I costi ? A parte concedere abitazioni abbandonate o quasi ed i mezzi per la loro sistemazione, vi sarebbe la fornitura delle piante da piantumare, il controllo di una corretta gestione dei beni ed un modesto sussidio quale riconoscimento del loro impegno nel fare ciò che necessita. Dobbiamo però considerare anche le entrate : riduzione se non scomparsa di acquisti all’estero di beni di produzione nazionale, non sono spiccioli, riduzione dei fenomeni franosi con relativi danni e morti, ugualmente minor gravità di fenomeni alluvionali con disastri e morti. Certo, sarebbe un’operazione di ampio respiro a vantaggio della collettività e di coloro che fuggono da situazioni disgraziate. Per fare ciò sono necessari un certo bagaglio culturale, una predisposizione ad operare per il bene pubblico ed una profonda onestà in tutti i sensi. Purtroppo sono tre doti totalmente assenti nel nostro mondo politico. Per ora si spendono miliardi per dirottare migranti in qual si voglia paese circonvicino, un’altra valanga di soldi per frane ed alluvioni ed un esborso pazzesco all’estero per acquistare beni facilmente producibili in casa nostra. Gli antichi romani, quelli che costruivano ponti che stanno in piedi da 2.000 anni, dicevano “CUI PRODEST” tradotto : A chi torna utile un simile stato di cose ?

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