Ho letto che da parte della Regione E-R sono stati oltre 4 milioni di € per i comprensori sciistici in crisi, da Schio al Cerreto con Cimone e Corno alle Scale. La ragione ? Gli inverni sempre più caldi e con meno neve. Fa piacere che dopo più di 35 (trentacinque) anni di evidente e conclamata Crisi Climatica, sempre negata in alto loco, ci si sia accorti che gli inverni non sono più quelli di 60 e più anni fa. Non solo, ma se si impiegasse un po’ di tempo in qualche lettura scientifica ed istruttiva si imparerebbe che il futuro sarà sempre più incerto e sempre con meno neve. A monte di tutto ciò vi è stata una politica che ha accorpato due aspetti, il primo quello di fissare per i luoghi montani, ove fosse possibile praticare lo sci, una sola e maniacale monocoltura, quella, appunto dello sci. Di concerto la cancellazione di qualsiasi patrimonio storico, culturale ed ambientale di tali zone. E’ cosa ovvia, da migliaia di anni, che una comunità o un popolo cui si distrugge la propria storia, il proprio patrimonio culturale può essere gestito con molta facilità e cui si può raccontare ciò che si desidera senza incontrare opposizioni critiche. Che poi questa comunità finisca per trovarsi in ginocchio economicamente, che la maggioranza dei giovani fuggano non avendo una struttura di studi adeguata ai tempi e cercando altrove opportunità di studio e, conseguentemente, di lavoro, ciò non pone ostacoli al proseguimento monocolturale in attesa di un futuro, e quanto mai remoto, Paese delle Meraviglie. Una politica al servizio delle comunità montane in oggetto, avrebbe dovuto valorizzare il patrimonio storico, cultura ed ambientale di tali aree arricchendo l’offerta turistica assieme al comparto sci. Comparto sci che da quasi 40 (quaranta) anni è in progressiva contrazione per varie ragioni che cito in ordine sparso. Detta attività ha perso, e continua a perdere, fascino nella società. Non è più un imperativo categorico sociale quale era 50 o 60 anni fa che finiva per considerare degli emarginati chi non si fosse dedicato, anche saltuariamente, a tale sport. Era il tempo dei “Cannibali” ovvero di persone totalmente negate per lo sci che si recavano sui campi di neve per ruzzolare, urtare altre persone e dare pubblica manifestazione della propria idiosincrasia per tali attrezzi da agganciare ai piedi. Ritornati in città potevano pubblicamente affermare di aver trascorso il weekend o la domenica in qualche località montana a “sciare”. Altro aspetto è il costo di tale attività, non in termini assoluti, ma in modo relativo, ovvero in confronto alla disponibilità economica delle famiglie ed alla prospettiva del loro incremento economico nel futuro. Oggi, per una famiglia di tre persone, genitori+ un figlio di 12-13 anni spendere dai 400 ai 500 € per una domenica sulle nevi è l’assoluta normalità. Basta considerare le spese del trasporto da un centro cittadino distante 100 e più Km, il noleggio delle attrezzature per due o tre componenti della famiglia, l’investimento per chi se l’è acquistata, detta attrezzatura, l’abbonamento agli impianti, una sosta mangereccia e voilà, l’esborso è fatto ! Siamo sicuri che tutte le famiglie italiane, oggi, siano così disponibili a spendere in un paio di mesi un cifra tra i 3.600 ed 4.500 € quando lo stipendio medio italiano naviga tra i 1.300 ed i 1.600 € mensili ? Il miglior termometro di questa rinuncia sciatoria l’abbiamo nella crisi del comparto giovani per lo sci. Mancano i giovani per alimentare quella che una volta era la Valanga Azzurra. Un ulteriore aspetto che mette in crisi lo sci è la Crisi Climatica, sino ad oggi semplicemente mai presa in considerazione se non negata in alto loco. L’erogazione di tali fondi da cui siamo partiti è l’implicita dimostrazione che detta Crisi Climatica c’è anche se taluno la definisce “Solo un’opinione”. Quel piacere di trovarsi in montagne coperte di neve, in un ambiente quasi da favola, è pressoché scomparso. Spesso ci si trova dinnanzi ad un ambiente montano brullo, con sassi ed erba secca in cui l’unico modo per poter sciare è scendere per toboga di neve sparata avente a destra e sinistra tale poco invitante panorama. Non è casuale la miglior definizione della pratica sciatoria fatta da una persona addetta ai lavori :”Oggi non si scia, si scende” . Ed infatti anche il popolo sciatore è abbastanza datato ed in costante contrazione. Avendo la casa in Appennino, a Pianaccio, posso testimoniare, alla luce di circa 77 anni di frequentazione appenninica centrati sul Corno alle Scale in qualunque stagione, sci compreso, che temperature invernali così elevate ed in continua crescita da quasi 40 anni non le ho mai registrate. Le cascate di ghiaccio ove si andava a scalare in inverno sono scomparse, animali tipici della pianura o delle Valli di Comacchio ce li troviamo nei nostri corsi d’acqua, piante assolutamente non in grado, allora, di fruttificare le abbiamo tranquillamente negli orti. Tra l’altro, e questo è grave, le comunità monocolturali dello sci non si sono accorte del cambiamento sociale avvenuto progressivamente in questi ultimi 40 anni. Il turismo richiede oggi una molteplicità di offerte per attrarre la diversità degli interessi dei turisti. Vi sono persone cui piace fare escursionismo, chi ama edifici storici e chiese con il loro patrimonio storico da visitare, chi è attratto da manifestazioni culturali e musicali, altri ricercano una gastronomia del passato di zone lontane dalla città e chi più ne ha più ne metta. Solo articolando una offerta abbastanza ricca si può sperare di attrarre il turismo del 3° millennio. Certo lo sci può essere una delle opzioni ma non è più l’UNICA OPZIONE, considerando anche che nello spazio di pochi decenni la Crisi Climatica farà quasi scomparire l’innevamento naturale e renderà problematico quello artificiale. L’ostacolo per la montagna sarà duplice, da un lato il mondo politico, assolutamente impreparato a livello di conoscenze culturali ed ambientali, che dovrebbe sostituire l’ottica degli appalti con un articolato e pianificato studio dei patrimoni storico, culturali ed ambientali delle varie zone da poter valorizzare. Dall’altra le stesse comunità che, dovrebbero superare la sindrome degli assistiti dalla mano pubblica, vedi gli appalti, e ristudiare il proprio patrimonio storico, culturale ed ambientale, spesso pieno di valori unici, da proporre quale opportunità turistica ad una società, quella di oggi, che non è più quella di 60 e più anni fa.