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Quale futuro per lo sci di casa nostra ?

 

La pista da sci sull’incerenitore di Copenaghen

 

Alcuni lettori di Renonews , mi auguro, avranno letto il mio articolo sulla pista da sci posta sul termovalorizzatore in Danimarca . Sembra che la cosa abbia avuto un successo oltre ogni aspettativa . Avranno anche letto quel mio articolo, fortemente ironico, sul mettere piste da sci nei dintorni del capoluogo felsineo onde consentire agli sciatori locali di recarsi a praticare lo sport preferito anche in bicicletta. Facciamo ora un discorso serio alla luce dell’impianto sciistico danese e di altri sorti con analoghe caratteristiche. Qui dobbiamo coniugare alcuni parametri : bacino di utenza, numero dei fruitori, giorni di utilizzo degli impianti, investimenti e loro costi gestionali. Quando nell’ultimo articolo ho citato Paderno, collina sopra Bologna, non l’ho fatto casualmente.

Si scia a Cavoretto sulle colline di Torino

 

Facciamo un confronto fra un ipotetico (?) impianto di sci posto in un paio di vallette aventi direzione Nord (Bologna) ed una stazione sciistica appenninica. Ambedue avrebbero quale bacino di utenza l’intera Città Metropolitana di Bologna. La stazione appenninica avrebbe in più una parte del bacino di utenza toscana. Adesso però esaminiamo i fruitori dei due impianti sciistici. Per tutta l’area della Città Metropolitana di Bologna, sino a Sasso Marconi, è molto più rapido ed agevole raggiungere gli impianti di Paderno che quelli siti sull’Appennino. Si tratta di fare un percorso stradale che può variare dai pochi minuti sino a poco più di mezz’ora. Nel secondo caso, avremmo un tragitto che può variare da poco più di un’ora, zone lungo la Porrettana direzione Sud, sino a 1/2 ora per i paesi della Valle del Silla. Per le zone a Nord di Bologna raggiungere l’Appennino significa impiegare dalle 2 ore sino a 3 ore e 1/2 a seconda dell’orario e del tragitto scelto, tenendo in considerazione lo stato di degrado e di disfacimento della SS 64 Porrettana tra Sasso e Bivio Marano.

Non entro nel merito del bacino di utenza toscano essendo troppe le variabili, ma di certo non risulterebbe loro conveniente arrivare sino a Bologna. Sarebbe diverso se impianti del genere venissero impostati nelle colline tra Firenze e Pistoia. Il numero dei fruitori è legato sia alla distanza da percorrere per raggiungere gli impianti e, sia, dai giorni di utilizzo. Gli impianti di Paderno potrebbero funzionare, come quello danese, 365 gg. annui. Andrebbero tolti quelle giornate con piogge violente, diciamo che i giorni negativi potrebbero essere 65, ne resterebbero 300. Si badi che, data la grande vicinanza al bacino di utenza, nulla vieterebbe agli appassionati, finito il lavoro o lo studio, di recarsi a sciare di sera, di pomeriggio o in qualunque momento del giorno o della settimana. Se poi gli organizzatori di tali impianti posizionassero alla partenza o all’arrivo luoghi di ritrovo, tutto contribuirebbe ad elevare il numero dei fruitori. Diversa è la situazione in Appennino. Data la distanza dai bacini di utenza primari: Città Metropolitana di Bologna, città toscane, è improponibile pensare ad una fruizione di sera, infrasettimanale con tale intensità. Il tutto, sarebbe, come oggi, legato ad un uso primario di Sabato e Domenica con scarsa affluenza infrasettimanale. Le condizioni climatiche giocherebbero comunque un ruolo importante riducendo i giorni di effettivo utilizzo degli impianti. Se le temperature fossero per almeno 90 giorni sotto lo 0°, molto ipotetico, grazie alla neve sparata si potrebbe arrivare ad un utilizzo attorno ai 60 giorni o poco più.

A Parigi si scia nei pressi di Notre Dame

 

Traiamo le conclusioni economiche. A pari costo di impianti, quelli di Paderno avrebbero un ammortamento in tempi notevolmente inferiori a qual si voglia impianto appenninico. Abbiamo parlato solo di utilizzo sciatorio, pensiamo all’estate. E’ indubbio che recarsi con un impianto a fune sulle dorsali appenniniche abbia più appeal che salire a Paderno. Ma a quanti giorni di reale utilizzo abbiamo in Appennino in estate ? Ben che vada siamo a 30 giorni o poco più. Stante queste osservazioni, non vorrei apparire un menagramo, ma se nei dintorni di Bologna sorgesse un impianto come quello danese, una buona fetta di sciatori si dirigerebbe lì. Onde non trovarsi sorpassati da simili impianti cosa si deve fare in Appennino ? 1° battersi affinché i collegamenti viari non risultino veri e propri interminabili percorsi di guerra. Faccio presente che quando abitavo vicino a Funo di Argelato mi risultava più agevole, il Venerdì sera, andare in Dolomiti che al Corno. 2° Adeguare le infrastrutture, bar, ristoranti ecc. , a condizioni di accessibilità (portatori di handicap), aspetto estetico e funzionale attrattivo. Non riporto qui i commenti per iscritto di una persona, competente, sullo stato di degrado dei luoghi di ritrovo al Cavone. 3° Luoghi di intrattenimento ove si smette di sciare, non a decine di Km. Non ricordo più dove, ma mi sono trovato a sciare in una zona di lingua tedesca ove a bordo pista vi era lo sbocco di una piscina per un paio di metri. La tentazione è stata tale, so nuotare bene, da andare a prendere il costume, lasciare gli sci e nuotare nell’acqua caldina guardando altri sciatori a pochi metri. Smettere di sciare e fare una bella nuotata di un’ora o due per me e per tante persone è veramente piacevole e rilassante. Questa è solo un’idea, ovvio. Si possono escogitare altre attrattive al fine di legare il mondo sciatorio al Cavone a fine sciata. Da togliersi dalla testa la ridicola proposta di una navetta che porti gli sciatori a far la spesa a Lizzano. Una famiglia arriva in auto al Cavone e poi, quando ha finito di sciare, prende una navetta per andare a far che? A comperare la Pasta Barilla e poi farsi riportare al Cavone per partire con l’auto. Quando si fanno certe proposte sarebbe opportuno utilizzare un briciolo di intelligenza. Quindi, prima che la sindrome danese prenda piede, rendere più accessibile, più attrattiva l’area sciistica appenninica.

Ettore Scagliarini
Lo sci a Dubai 
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