Alle prime luci di questa mattina i militari del Comando Provinciale di Bologna, e dei Comandi Provinciali di Firenze, Messina, Viterbo e del Gruppo di Locri hanno eseguito un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal G.I.P. presso il Tribunale di Bologna, dott. Sandro Pecorella, su richiesta del sostituto procuratore presso la DDA dott. Roberto Ceroni, nei confronti di nove persone (6 in carcere e 3 agli arresti domiciliari), ritenute responsabili, a vario di titolo, del reato di associazione a delinquere finalizzata al traffico, detenzione e spaccio di sostanze stupefacenti. Gli arresti sono avvenuti nella città di Bologna (4), a Dicomano(FI), ad Africo(RC), a Messina e a Tuscania(VT).
1. Origine dell’indagine.
Il 6 marzo 2016 la Polizia spagnola, su indicazione del Nucleo Investigativo dei Carabinieri di Bologna, sequestrò 505 chili di cocaina a bordo di una barca vela partita dal Brasile, che, dopo uno scalo nell’isola di Capo Verde, sarebbe giunta a Barcellona. Quel carico di sostanza stupefacente era destinato alle piazze di spaccio di Bologna e per questa operazione furono arrestate sei persone dai militari del Comando Provinciale di Bologna. Durante le perquisizioni effettuate nel corso degli arresti fu trovato un cellulare BlackBerry criptato in possesso di uno degli arrestati. Apparve subito chiaro che la presenza di quell’apparecchio particolarmente sofisticato implicava il coinvolgimento di criminali di livello molto alto. Furono necessari mesi per analizzare i dati di quel telefono e ne risultò con chiarezza che quel BlackBerry aveva comunicato con altri cellulari criptati ubicati nel centro di Bologna. Nel novembre del 2017, così, il nucleo investigativo iniziò, sotto la direzione del sostituto procuratore presso la DDA di Bologna Roberto Ceroni, un’indagine finalizzata a ricostruire la rete di persone che evidentemente era coinvolta in traffici di altissimo livello, in particolare di cocaina.
Fondamentale per il gruppo criminale era l’uso di telefoni cellulari criptati (c.d. “cryptophone”) per comunicare all’interno di una rete chiusa di comunicazione, alla quale il singolo sodale accedeva solamente attraverso un cellulare che veniva fornito dai vertici dell’organizzazione. Tale circuito era costituito sia dai cryptophone (che venivano forniti solo ai membri collocati più in alto nella scala gerarchica del sodalizio), sia da apparecchi GSM (non smartphone, quindi senza traffico dati) le cui SIM erano intestate a stranieri irreperibili.
I cryptophone, del valore di 2.500-3.000 euro, venivano procurati da uno steward di una compagnia aerea albanese, che li importava in Italia sfruttando il suo lavoro. Il funzionamento di questi sofisticatissimi apparecchi è piuttosto complicato, e si basa sull’utilizzo di chiavi cifrate di difficilissima decriptazione, in mancanza delle quali l’accensione del telefono comporta la cancellazione di tutti i dati contenuti.
È stato soltanto grazie all’inoculazione di un software trojan nel cellulare del “capo” dell’organizzazione che si è potuto dare un senso alle telefonate ed ai messaggi che intercorrevano tra i membri del gruppo.
Anche per gli altri arrestati sono acclarate relazioni con famiglie ndranghetiste, pur non essendo emersi nel corso delle indagini elementi certi che possano far ritenere che le attività criminali messe in atto fossero finalizzate a favorire l’organizzazione mafiosa. Di certo, il modus operandi altamente specializzato ed i trascorsi delinquenziali della maggior parte dei componenti dell’organizzazione smantellata quest’oggi fanno ritenere che l’ambito in cui si sono mossi finora non sia estraneo ad appartenenze di quella specie.
Testo e foto Uff. Stampa Carabinieri