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CALCIO: “Lo scudetto, l’emozione più grande della mia vita”

Nicolò Goffredi

 

Nicolò Goffredi nasce a Porretta Terme il 21 febbraio 2005. Inizia a giocare a calcio molto per le società calcistiche dell’Alta Valle del Reno. Successivamente arriva la chiamata del settore giovanile del Bologna, dove milita tutt’ora nella categoria Under18.

Durante la stagione 2021-2022, ha fatto parte dell’Under17, la squadra che ha vinto lo scudetto di categoria, battendo in finale 2-3 l’Inter, con una rimonta avvenuta nell’ultimo quarto d’ora, a coronamento di una stagione molto positiva.

Durante la scorsa stagione, Nicolò è sceso in campo 21 volte, tra Under17 e Under 18, ottenendo un minutaggio complessivo di 852 minuti. Durante la gara-scudetto, giocata ad Ascoli il 21 giugno scorso, è entrato in campo al 22’ del secondo tempo sul 2-0, e il suo ingresso ha coinciso con la memorabile rimonta rossoblù.

Quella di Nicolò è la storia, in gran parte ancora da scrivere, di un giovane sportivo proveniente dall’Appennino bolognese che, a 17 anni, ha raggiunto un traguardo importante, al culmine di un percorso fatto di impegno, dedizione e di tanti chilometri percorsi lungo la strada porrettana, tra Borgo Capanne, il luogo dove ha sempre vissuto nel comune di Alto Reno Terme, e il centro sportivo di Casteldebole.

Quando ci siamo trovati per l’intervista Nicolò arrivò a casa mia qualche minuto prima dell’orario convenuto e mi trasmise, da subito, una compostezza che lo rende più adulto della sua età. Durante la chiacchierata mi sono reso conto di avere davanti un giovane che coltiva i suoi sogni e le sue passioni, fino in fondo, senza lasciarsene travolgere. Ogni risposta è stata ponderata e, al termine dell’intervista, mi sono ritrovato a pensare a quanto siano banali e infondati i luoghi comuni che aleggiano intorno al mondo del calcio. L’esperienza di Nicolò ci insegna che, se affrontato con il giusto equilibrio, lo sport è un importante mezzo di crescita individuale.

Come è scattata la scintilla fra te e il calcio?

– Ho iniziato a giocare a calcio a 4 anni e mezzo alla scuola materna, con gli amici, per puro divertimento. Da bambino ho provato anche il nuoto e lo sci ma, ben presto, il calcio ha preso il sopravvento. Ho fatto i primi anni a Ponte della Venturina, poi a Porretta Terme per approdare al Faro di Gaggio Montano, dove sono rimasto fino a 11 anni. Durante questi passaggi ho incontrato il mister Andrea Petroni, una figura decisiva nella mia evoluzione sportiva. Nel 2016, al termine di un camp estivo, è arrivata la chiamata del Bologna.

Che calciatore sei?

– Negli ultimi anni gioco come laterale destro, mentre all’inizio facevo il centrocampista. Fisicamente sono piuttosto resistente, mediamente dotato sotto il profilo tecnico. Se ti dovessi indicare un calciatore a cui mi ispiro, sebbene giochi in un ruolo diverso dal mio, ti direi Barella.

Dove giochi quest’anno?

Dal 20 luglio sono stato aggregato alla Primavera del Bologna con cui ho fatto il ritiro e, dal 16 agosto, ho iniziato gli allenamenti con l’Under 18, di cui faccio parte per ragioni anagrafiche. Fra le due categorie c’è un forte collegamento, in modo analogo a ciò che succede tra Primavera e prima squadra.

Il campionato Under18 è iniziato il 18 settembre e prevede due gironi, da 11 e 10 squadre. Quest’anno è stata introdotta una nuova modalità che prevede un primo girone, seguito dal girone di ritorno e dal secondo girone di andata, per poi concludersi con le fasi finali.

Ogni coppia di squadre si incontra tre volte, in alcuni casi si giocano due partite in casa dell’avversario, mentre in altri casi si ospita due volte lo stesso Club. Il Bologna andrà due volte a Napoli, dove domenica scorsa abbiamo giocato la prima di campionato, pareggiando 2-2.

Che emozioni ti ha regalato la vittoria del campionato Under 17?

Descrivere questa esperienza a parole non è facile: è stata la l’emozione più grande della mia vita, condivisa con i compagni di squadra. Un traguardo che ricorderò per sempre. A livello collettivo ci ha aiutato molto proseguire il lavoro con Denis Biavati, l’allenatore che mi ha voluto a Bologna. Inizialmente lo scudetto era poco più di un sogno poi, durante il campionato, abbiamo acquisito una crescente consapevolezza dei nostri mezzi. A livello personale ho avuto un buon minutaggio e quindi sono molto soddisfatto.

Voi giovani del Bologna avete rapporti con i giocatori della prima squadra?

– Fino a oggi non molti, escludendo quest’ultimo periodo di ritiro con la Primavera che, invece, ha un rapporto di scambio continuo con la prima squadra. Capita spesso, durante il campionato, che qualche giovane venga convocato. In alcuni casi, molto più rari, questa possibilità riguarda anche le categorie inferiori, come ad esempio l’Under18.

Come sono fatte le tue giornate e come riesci a conciliare il calcio con la tua vita quotidiana?

Io frequento il Liceo di Scienze applicate nell’Istituto “Alessandro Manzoni” a Bologna, dove ho appena iniziato la quinta. La mattina frequento le lezioni e nel pomeriggio sostengo le sedute di allenamento che, mediamente, durano due ore.

La scuola, grazie all’impostazione ricevuta dalla mia famiglia, è sempre stata molto importante per me e per ciò che sarà la mia vita nel futuro. D’altra parte, nel calcio, non esistono garanzie di successo. Per quanto riguarda la conciliazione delle varie attività, cerco di sfruttare molto l’attenzione in classe, così da alleggerire il carico pomeridiano e di dedicare allo studio il sabato, giorno libero dagli impegni calcistici. Sicuramente è una vita intensa ma, per me, non eccessivamente faticosa. In questo mi aiuta il piacere con cui affronto i vari impegni.

Fino allo scorso anno facevi il pendolare, mentre adesso hai cambiato scuola e trascorri la maggior parte del tempo in città. Quali sono le differenze principali che hai riscontrato?

Il trasferimento è legato alla comodità. Le due ore in macchina ogni giorno si facevano sentire e rubavano tempo alle varie attività quotidiane. La vita in città è diversa: si può essere più autonomi, grazie ai mezzi pubblici. Non ho bisogno di essere continuamente accompagnato a scuola e agli allenamenti, questo alleggerisce molto i miei familiari, il cui supporto è sempre stato decisivo. Senza i miei genitori, mia sorella e i miei nonni, sempre disponibili ad accompagnarmi ovunque, non sarei dove sono adesso. In ogni caso, in montagna, ci sono stato benissimo.

Secondo te, nel contesto calcistico provinciale, com’è messa la montagna, soprattutto rispetto ai giovani?

– Io credo che la montagna vada considerata alla pari con gli altri territori della provincia. Del resto, se ci limitiamo all’ultima stagione, possiamo notare come alcune squadre abbiano ottenuto risultati notevoli nei loro campionati di categoria come, ad esempio, la prima squadra e gli Juniores del Faro Gaggio Montano. Rispetto a qualche anno fa, mi sembra di assistere a un processo di concentrazione delle Società: ce ne sono meno ma più strutturate. Oggi le realtà di punta, nell’Alta valle del Reno sono, appunto, il Faro e il Porretta. In generale i giovani che provengono dal territorio provinciale sono una minoranza. La stagione passata, nell’ Under17, a provenire dalla provincia di Bologna eravamo 5-6.

Secondo te perché solo pochi giovani riescono a fare il salto dal settore giovanile al professionismo?

Ai giovani viene dato poco spazio. Il problema è generale e mi sembra che negli ultimi anni ci sia, in questo senso, una consapevolezza crescente. Speriamo che le cose cambino in futuro. Paradossalmente un grave problema è rappresentato dagli ingaggi elargiti ai giocatori più famosi. A colpirmi è soprattutto la sproporzione tra i vari campionati professionistici. Il divario fra serie A e serie B è enorme.

Quanto sei deluso dalla mancata partecipazione della nazionale ai mondiali?

La doppia esclusione dell’Italia è clamorosa, a maggior ragione dopo il trionfo all’ultimo europeo. I giovani faticano a maturare l’esperienza necessaria ad affrontare i palcoscenici più importanti. A livello sportivo, la mancata partecipazione della nazionale ai mondiali  modificherà la percezione del calcio in tanti giovanissimi appassionati.

Le principali squadre nazionali sono piene di stranieri, ad ogni livello. Che tu sappia, esiste anche un movimento di giovani italiani verso l’estero?

È probabile che ci sia, sebbene io non ne conosca le dimensioni esatte. Il principale campionato europeo, la Premier League, dà molto più spazio ai giovani di quanto non si faccia in Italia come dimostra, ad esempio, il passaggio di Casadei dall’Inter al Chelsea. Il fatto che molti calciatori italiani giochino all’estero non giova al movimento nazionale che, nel complesso, si indebolisce. Già nelle categorie in cui gioco io ci sono stranieri, la cui presenza è legata al mercato europeo.

Quali sono, secondo te, le principali trasformazioni del calcio italiano rispetto al passato?

– Nel calcio moderno si cura maggiormente la preparazione fisica dei giocatori. Un altro cambiamento è legato alla centralità rivolta alla fase offensiva, basti pensare al “Pallone d’oro” che viene concesso, salvo rarissimi casi, ai giocatori avanzati. In parte è sempre stato così, ma oggi queste dinamiche sono ancora più estreme.

Poi c’è il peggioramento medio del livello dei portieri italiani, a partire dai campionati principali. Della scuola italiana dei portieri, di cui si parlava anni fa, oggi si sono quasi perse le tracce. Ed è un peccato perché ci sono un sacco di giovani molto talentuosi, a partire dalle giovanili del Bologna. Tanto per fare un esempio, nell’Under17 della scorsa stagione, la mia stessa squadra, giocava Tito Gasperini, un portiere del 2006 veramente molto dotato.

Mi parli della preparazione che stai svolgendo in questi giorni?

– La preparazione iniziale è fondamentale per arrivare fisicamente pronti all’inizio del campionato. Ti faccio un esempio: ho trascorso l’ultimo mese con la Primavera, abbiamo fatto due settimane di ritiro e sostenevamo due sedute quotidiane di allenamento molto intense che, credo, mi saranno utili durante tutta la prossima stagione. L’allenamento fisico comprende la parte aerobica e una parte di potenziamento, che avviene in palestra, dove andavamo una volta al giorno durante il ritiro. Con l’inizio del campionato i carichi vengono ridotti, ma si continua con questo doppio livello.

A parte il calciatore, cosa ti piacerebbe fare nella vita?

– Il prossimo anno farò la maturità poi verranno gli studi universitari. In generale, mi piacerebbe comunque rimanere in ambito sportivo: una delle opzioni possibili è la facoltà di Scienze Motorie che dà accesso all’insegnamento e alla possibilità di diventare preparatore atletico.

Cosa ti entusiasma di più della tua attività di calciatore?

Sicuramente le emozioni che mi regala il campo. Ogni gara è una storia a sé, in grado di arricchire il bagaglio di esperienza. Sono importanti i traguardi raggiunti ma anche i momenti difficili, le sconfitte, le esclusioni e gli infortuni. Nel 2019 ho dovuto fare i conti con il distacco della spina iliaca nel bacino e sono stato fermo 3 mesi. Per fortuna eravamo a fine stagione, quindi non ho dovuto saltare troppe partite ufficiali però ho perso un torneo estivo in Canada a cui tenevo molto.

Se domani il calcio sparisse dalla tua vita, quale sarebbero le cose più importanti che ti lascia?

– Lo spirito di gruppo, che ti può proteggere, a livello individuale, dalle difficoltà che presto o tardi si incontrano. Il calcio è in grado di trasmettermi continuamente sensazioni molto intense, non importa se positive o negative. Paradossalmente anche l’esclusione dagli 11 titolari è in grado, nel mio caso, di trasformare la delusione iniziale in energia positiva da utilizzare nei minuti di presenza in campo.

Che traguardi ti poni per il prossimo futuro, in campo e fuori dal campo?

A livello sportivo non ho obiettivi definiti. Cercherò di fare del mio meglio, puntando più in alto possibile. Fuori dal campo sono molto concentrato sul percorso scolastico che si concluderà, per il momento, con la maturità a giugno del 2023.

 

 

Foto concesse da Nicolò Goffredi

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