Foto di Fabrizio Carollo
La diciassettesima edizione del Festival del Cinema di Porretta è già entrata abbondantemente nel vivo, dopo soli due giorni. Eventi, proiezioni e incontri con i registi del concorso “Fuori dal giro” hanno incontrato immediatamente il favore del pubblico intervenuto, che si è già congratulato con l’ottima organizzazione della kermesse ed il programma vario, che non ha mancato di entusiasmare vecchi e nuovi sostenitori della settimana del cinema italiano in Appennino.
Come di consueto, oltre a registi e attori, ogni edizione da spazio anche ai professionisti della settima arte, coloro che stanno più dietro le quinte, ma grazie ai quali non sarebbe possibile la realizzazione di un prodotto di qualità.
Giuliano Pannuti è uno di questi importanti artisti che, venerdì 7 dicembre alle ore 11, sarà ospite del Festival, in un incontro speciale dedicato alle scuole, dal titolo I mestieri del cinema.
Pannuti, scenografo e costumista di grande livello, con importanti collaborazioni che vantano i nomi di registi del calibro di Pupi Avati, Carlo Verdone, Claudio Risi solo per citarne qualcuno, ha conseguito il premio Dante Ferretti per la miglior scenografia per il film Una sconfinata giovinezza (per il quale ha ricevuto anche una nomination per il Nastro d’Argento) ed incontrerà il giovane pubblico al Teatro Testoni di Porretta per parlare dello sconfinato ed interessante mondo della scenografia, pronto a soddisfare tutte le curiosità che gli verranno chieste.
Reno News ha avuto il piacere di incontrare questo brillante artista del cinema, che ha raccontato il suo singolare percorso professionale.
Ringraziandola per la sua disponibilità, le chiedo immediatamente per quale motivo ha scelto la strada della scenografia che, a mio avviso, rappresenta uno dei lavori più importanti e certo non semplici del mondo cinematografico.
Da piccolo, ho sempre pensato di fare l’architetto, perché mi piaceva costruire, inventare, disegnare. Spesso, invece di giocare con i soliti giocattoli, prendevo cartoncino, forbici e colla, scatole di scarpe e mi inventavo case e villaggi; avevo una vera fissazione per i modellini.
Crescendo, alle superiori, scopro che c’era una scuola perfetta per me, che conciliava il disegno, l’architettura, l’arte e il fascino del cinema: l’Accademia di Belle Arti.
Decido perciò di iscrivermi e di entrare nel mondo che avevo sempre sognato.
Durante l’Accademia, c’erano spesso allievi degli ultimi corsi che si cimentavano ad affrontare il concorso di accesso al Centro sperimentale di Cinematografia di Roma, scuola mito irraggiungibile a cui nessuno riusciva mai ad accedere.
Ci provai anch’io e un mese dopo ero li a Roma, in una scuola ancora più fantastica dove si respirava cinema in tutti i suoi aspetti: ero come un bambino al circo.
Parliamo un po’ del mondo degli “addetti ai lavori”: può essere frustrante, a volte, rimanere sempre dietro le quinte e magari non essere così riconoscibili come attori, produttori e registi o ci sono altre importanti meriti che portano soddisfazioni per il lavoro svolto?
In Italia, tecnici e addetti ai lavori, non sono mai troppo apprezzati, benché il cinema italiano abbia sfornato (e ancora lo fa!) ottimi scenografi, costumisti e direttori della fotografia apprezzati in tutto il mondo.
Fa parte del gioco del cinema, anche se confesso che spesso ci si sente un po’ nell’ombra, ma poi diventa una professione. Non cambierei mai il mio ruolo e gli aspetti più interessanti, come le ricerche, i colloqui con il regista, lo scambio di idee che avvengono mesi prima di iniziare a girare e che sono molto importanti per dare al film la giusta direzione. Non cambierei mai il mio ruolo, con quello di un attore che, magari dispone solamente di una partecipazione marginale al progetto finale.
È vero, i riconoscimenti per noi sono pochi, spesso non siamo mai menzionati (non è questo il caso) e molte volte si fa confusione, pensando che la mia professione sia quella di sceneggiatore o coreografo (mi chiedono se ballo ancora…).
Non si ha quasi mai un’idea precisa di cosa faccia uno scenografo, finché non si viene su un set.
Personalmente, credo che le vere soddisfazioni non siano i premi, ma la buona riuscita di una scena, o un regista che ti chiama e ti dice “Devi esserci tu!”
Come funziona la scelta di uno scenografo e costumista per un film? Esiste un provino anche nel vostro settore?
Non ci sono veri e propri provini; di solito è un passaparola ed uno scenografo può essere suggerito a un regista o a un produttore, che si mostra interessato a scritturarlo.
Siamo tanti, ma non tantissimi e se lavori bene, ecco che vieni apprezzato e richiesto.
Personalmente, ho un curriculum e un sito, ma li ho sempre usati molto poco e spesso, chi è interessato, guarda il lavoro che ho fatto sui film ai quali ho preso parte.
Un regista e un produttore intelligenti e preparati riescono a capire se c’è un bravo scenografo o costumista anche dietro a un Fantozzi va in pensione.
Quale rapporto professionale è più importante per svolgere al meglio il lavoro dello scenografo e costumista? Con il regista o con gli attori?
Il rapporto tra regista e scenografo è fondamentale, già nella fase embrionale del film, dove ci si deve confrontare di continuo, tra idee, soluzioni, proposte ecc
Lo scenografo e l’attore non hanno invece quasi nessun contatto, se non nella pausa pranzo.
Cosa ben diversa per il costumista e l’attore, dove quest’ultimo diventa il manchino sul quale il costumista cuce addosso non solo il costume, ma anche il personaggio.
Un bravo costumista può essere la fortuna di un attore.
Il rapporto di stretta collaborazione con Pupi Avati, per il quale lei ha lavorato in molte pellicole di diverso genere.
Con Pupi Avati è scattata un’empatia da subito; i suoi film, le sue atmosfere, le sue storie, sembrano parte dei racconti dei miei genitori ed i miei nonni, come fossero storie che, anche se non ho vissuto personalmente, mi porto dentro.
Dal primo film fatto con lui come arredatore, “La seconda notte di nozze”, fino all’ultimo girato l’estate scorsa “Il signor diavolo”, è stata una vera e propria scuola.
Stare al suo fianco e vedere come risolve determinate scene vale più di tante lezioni di cinema.
Pupi ha un’esperienza ed una lucidità nel trasmettere nettamente cosa vuole che pochi registi possono vantare.
Crede che il cinema italiano sia in crisi o ci sono comunque buone leve e idee che magari non ottengono una distribuzione adeguata?
Il cinema italiano sta attraversando un periodo di crisi non perché non ci siano buone leve, ma perché mancano i produttori veri che puntano su idee e qualità. Oggi, chiunque può produrre un film, con qualche sovvenzione e sottopagando la troupe, con risultati poi inguardabili e difficili da distribuire, cosa questa che uccide inevitabilmente il cinema.
Il primo consiglio che darebbe, a parte l’applicarsi nello studio, a chi si approccia per la prima volta a questo mestiere?
Come tutti i mestieri, se vuoi farlo bene lo devi sposare e questo è un mestiere molto bello, che da soddisfazioni, ma che toglie anche tanto.
Mi ricordo un vecchio arredatore, quand’ero all’inizio della mia carriera e frequentavo i set da poco, a noi ultimi arrivati ci diceva sempre ” non fate le bottegaie!” non pensate a fine giornata di tirare giù la serranda e andare a casa!Questo è un mestiere che ti porti dietro anche la sera a casa. Ed è davvero così, perché non si tratta di un semplice lavoro: quando ti butti in un film, ti immergi totalmente in quel mondo e la vita vera un po’ te la perdi, nel bene e nel male.
Foto di Fabrizio Carollo
Il futuro dei Festival cinematografici può essere quello di cornici come Porretta e luoghi meno pubblicizzati e pomposi, secondo lei?
-Assolutamente si!!!
Credo che questi Festival siano molto più genuini, veri e “innocenti” di quelli più istituzionali, fatti solo di paparazzi e Red Carpet, che sono cose molto lontane dal vero cinema.
Chi vuole fare cinema davvero, lo dico soprattutto ai giovani, dovrebbe frequentare questi Festival per respirare nuovamente il vero profumo del vero cinema.