GIRO D’ITALIA: La Maglia Rosa ad Alessandro DeMarchi, la vittoria di tappa a Dombronsky

I big si assaggiano sulla prima salita del Giro in un Appennino pungente.

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Dombronsky

 

Dolce e romantico, ma anche freddo e pungente, per alcuni tremendo, è l’Appennino che al Giro ha accolto chi lo ha capito e ha respinto chi l’ha sottovalutato.

In una giornata in cui il cielo piange lacrime fredde e pungenti le lacrime vere in conferenza stampa di Alessandro DeMarchi riscaldano i cuori di chi sa cosa voglia dire soffrire in bicicletta, provarci sempre e spesso non riuscirci.

Alessandro raccoglie la prima Rosa della Primavera 2021 in Appennino, ma all’inizio della salita di Fanano pensava di non riuscire ad afferrarla.

Poi come ha detto in conferenza stampa è venuta fuori la vecchia regola, “Non mollare mai”, e i due fuggitivi davanti, che gli erano scappati Al Castello di Carpineti, crollano sulle prime rampe in paese a Fanano e gli appaiono davanti. Il Rosso di Buia come un toro si porta su di loro lì riprende e li ha stacca. Alla sua ruota solo l’americano Dombronsky che poi sulle rampe più dure del colle del Passerino riesce a staccare DeMarchi che con grinta ed esperienza si gestisce perdendo poco, chiudendo la tappa secondo e conquistando la Maglia Rosa.

Undici anni di carriera a tirare per gli altri e provare fughe impossibili, 85 tappe del Giro d’Italia per arrivare al sogno Rosa di una vita.

Alessandro DeMarchi lo chiamano gregario, ovvero, ciclista vero.

Dombronsky ha 30 anni, è una delle tante giovani promesse poi mancate, aveva vinto bene negli U23 ma nei professionisti, fin ad oggi, aveva vinto solo negli States, e solo in Utah.

Sestola e il Cimone sono più piccoli degli States, e anche dello Utah, ma evidentemente a Joe devono aver ricordato qualcosa. Forse il profumo del bosco bagnato, o la fredda umidità della primavera dell’alto modenese, ma quando ha visto DeMarchi aumentare l’andatura si è ricordato bene di essere scalatore.

Era una Salita corta ma tosta, dopo tanta altra salita e qualche muro che solo dei Matti possono scalare. La Generale sarebbe stata rivoluzionata, e si sapeva, senza però sorprese clamorose, e così è stato. Ganna in Rosa tira il gruppo per svariati chilometri prima di spostarsi e arrivare con decine di minuti di ritardo. Si sapeva anche questo, ma vedere il leader della corsa sacrificarsi non è mai bello, se poi è un campione di casa Italia come Filippo fa anche un po’ male.

Dietro Ciccone scatta e prova a scappare, bravissimo come il giorno prima a provarci, e all’ombra del Cimone Giulio riesce sempre a dare qualcosa in più, non sarà vittoria come nel 2016 ma la sua azione, questa volta riuscita, costringe qualche big a usare la fantasia.

Prima Landa coriaceo e vendicativo con un Appennino che lo ha sempre respinto, poi Vlasov tranquillo come un lavoratore in spiaggia a Ferragosto, poi Carthy che pochi considerano vincitore ma che potrebbe sorprendere quanto la sua maglia della EF e poi Bernal, che in tre pedalate riprende Ciccone e gli altri, si mette davanti e non fa passare più nessuno.

L’Appennino accoglie e respinge, tra i Big respinge un portoghese da cui forse ci si aspettava troppo, Joao Almeida perde più di 4 minuti dai colleghi big e dice addio ai sogni di gloria, insieme al suo compagno Fausto Masnada, che sognavo protagonista, ma che scorta per molti chilometri Evenerpoel, pagando il finale selettivo di Sestola. Remco rimane impassibile, dicono che soffra in discesa, (fatela voi una discesa bagnata dopo essere caduto giù da un ponte), perde qualcosina in salita, ma limita i danni a pochi secondi.

L’Appennino accoglie e respinge ma a volte nasconde anche. Nibali, Hindley, Yates si nascondono, non sembrano soffrire ma non tengono le ruote dei più forti. Per Nibali tante attenuanti, anzi, i trenta secondi persi sono un successo, per Jai l’australiano un freddo non naturale per il suo sangue, per Yates un campanello d’allarme, o solo un bluff. Una condizione in calando dopo l’inizio di primavera sfavillante, o un contenersi dopo un passato umiliante alla terza settimana?

L’Appennino a volte è un mistero.

Il mio sogno Aleotti chiude a quasi 13 minuti da Dombronsky, dopo aver scortato i suoi Capitani, crollati, fin sotto il Cimone. Lui non è stato respinto dal suo Appennino, ha solo tracciato il sentiero che lo porterà verso le vette più alte!

Oggi tutta la via Emilia da Modena a Cattolica.

Il Mio sogno è Filippo Fiorelli. Velocista della Bardiani terzo oggi a Sestola.

 

Immagini RAI

 

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