Una passeggiata in Appennino: L’Anello delle Cascate -2

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Prosegue la camminata verso le Cascate. La nostra comitiva è arrivata a Poggiolforato pronta ad entrare nella forestale che si snoda lungo il Dardagna.

L’acqua che sgorga dalla fontana di Poggiolforato è incredibilmente fredda. Incredibilmente perché al contrario di altre fonti presenti nella zona è regolata da rubinetto e normalmente dove c’è un rubinetto, l’acqua è un filino più calda. Le fontane nel paese di Poggiolforato sono due, una nella piazzetta dove vi è il monumento ai caduti, civili fucilati durante la Resistenza, quando i tedeschi in ritirata verso la loro patria, decisero di sfogare la frustrazione della sconfitta e ancor di più di aver ascoltato un pazzo visionario, lasciando terra bruciata del loro passaggio, o almeno provandoci, mentre l’altra quella a cui mi riferisco è in centro al paese, esattamente 20 metri più avanti quella della piazzetta ai Caduti.

È sotto un piccolo portico, davanti al cortile del vecchio negozio alimentare di Poggiolforato, dove il chilometro zero non esisteva ancora, ma la verdura veniva dall’orto sotto casa. Meno di zero.

Riempivamo le bottiglie alla fontana godendoci la freschezza di quell’acqua, la giornata era velata ma molto afosa, non vedevo l’ora di entrare nella strada lungo il fiume, immerso nei castagni che piano piano lasciano spazio ai faggi. Passando di fianco al bivio per il mulino vedo Lele che svolta e comincia a scendere:

“Dove vai Lele?”

“Al fiume. Hai detto che andavamo al fiume e come l’altro giorno ci sto andando.”

Due giorni prima eravamo andati a piedi fino alle griglie dopo il Mulino, quel mulino antico che fu scena delle riprese di uno dei film più famosi di Pupi Avati. Un mulino lasciato andare, ora usato come fatiscente seconda casa, ma che trova così ancor più fascino nell’immaginarlo in funzione con il canale fatto deviare dal fiume.

Quel giorno, togliere dal fiume i quasi non più bambini, insieme ai cugini, fu un’impresa.

“No Lele, non andiamo di lì, andiamo alle Cascate.”

“Ne ho viste un sacco di cascate l’altro giorno, mi bastano.”

“Hai visto cascate d’acqua di 6 metri  cadere nel vuoto?”

“No effettivamente no, ma poi facciamo il bagno?”

“Se ci va certo.”

Uscivamo da Poggiolforato imboccando la strada sterrata, il sole andava e veniva da dietro le nuvole, l’afa era fastidiosa ma tutto sommato non opprimente come in città, sicuramente quel tanto che bastava per farmi ricordare delle zanzarine al fiume due giorni prima. Zanzare nel Dardagna a 800 metri di quota. Ma il surriscaldamento globale non esiste…

Arrivati alla stanga di ferro nel piccolo piazzale stazionavano diverse auto, ma poche persone si vedevano in giro. All’altezza del ponte per la Puzzolina fermai i bambini.

“Se volete sentire qui c’è l’acqua puzzolina. È acqua solforosa, viene dalle viscere dei monti della Riva, se la si annusa si fa fatica a bere, ma si dice, anzi è provato, che faccia molto bene. Pensate è zolfo, potrebbe venire da un vulcano nascosto pronto ad esplodere in ogni momento.”

“Dovrei andare a sentire acqua che puzza?”

“Ma dove ci hai portato?”

“Non volete andare?”

Mentre chiedevo già non li vedevo più.

Federico bastone in mano dopo aver passato la Reflex a Lele uccideva ogni forma vegetale alta più di 20 cm che trovava davanti a sé.

“Perché? Ma se lo facessi a te?”

“Ma non lo fai vero?”

“Provaci di nuovo. ”

Camminavamo bene, in silenzio, ascoltando il fiume, il silenzio regnava, solo il Dardagna parlava, cantava, scavando silenzioso il suo letto ormai millenario che separa il Corno alle Scale dal Cimone, Bologna da Modena.

Quando i castagni improvvisamente spariscono i Faggi si elevano ai nostri lati e insieme a loro gli “ombrelli”.

“E quelle che piante sono?”

“Ehm, mah, lo so ma non mi viene.”

Ed era realtà, è realtà.

Gli ho sempre chiamati Ombrelli perché sono foglie così grandi che riescono a coprire tutta la testa e alla fine risultano perfetti ombrelli. Il loro stelo è così rigido da rimanere tesi anche una volta strappati da terra. Probabilmente in molti nei secoli li hanno usati per proteggersi dalla pioggia, ora farli sembrare un ombrello è esercizio di grande fantasia.

Mi chinai e ne presi uno, spezzai lo stelo e lo portai alla testa.

“Ecco alla vostra sinistra faggi meravigliosi che hanno preso il posto di castagni carichi di ricci che ci faranno felici nei prossimi mesi, mentre a destra scorre il Dardagna, fiume Bolognese che forma insieme al Leo, corso d’acqua parallelo a questo, che scende esattamente dall’altra parte di questi monti, e allo Scoltenna, corso che si butta dal Cimone verso il Fondovalle, il Panaro, affluente del Po’ che attraversa le campagne di Modena.”

Federico mi guardò sdegnato:

“Per fortuna che non dovevo picchiare le piante. Tu l’hai uccisa.”

Volevo raccontare come una guida parte di realtà della nostra regione, raccontavo ma nessuno mi ascoltava, improvvisamente senza accorgermene erano tutti avanti, fermi all’incrocio per Madonna dell’Acero. Una pesca ad ognuno, Lele che la gustava avido, affamato, mentre  Federico bollava famiglie di vecchi biodi che andavano raccolti qualche giorno prima mentre Elisabetta era sparita.

“È andata dritta o a destra?

“Non lo so, mi ha chiesto se eravamo arrivati, gli ho detto di no ed è sparita.”

“Manca poco.”

“Il cartello per le cascate dice quaranta minuti, per Madonna dell’Acero anche.”

“Quindi mancano 40 minuti, ma forse anche meno. Ormai è tutta pari.”

Era poco più di un’ora che camminavamo, il sentiero cominciava a farsi affollato ma chissà dove era finita Elisabetta.

Nella speranza di trovarla proseguendo salutiamo una famiglia che saliva verso Madonna dell’Acero. Avevano fatto notte in tenda e volevano solo fare colazione. Erano quasi le 11, Federico copriva i funghi trovati aspettando il ritorno per raccoglierli, Lele aveva ancora fame.

Il Dardagna parlava, scorreva felice in una giornata calda anche in montagna. Scorreva e indicava la strada. Le cascate erano vicine. Forse Elisabetta era già arrivata.

Forse.

 

Foto di Enrico Pasini

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