Testo e foto di Enrico Pasini

 

A Febbraio sono uscito due volte in bicicletta, il primo e il 29. In mezzo un mese intero, anche se più corto, tanto lavoro, troppi impegni e la bicicletta che freme in garage.

Stare un mese fermo è deleterio non solo per le gambe, ma anche per la mente, lo stress si accumula e non si riesce a smaltire.

Quando riprendi in mano la bicicletta la foga e l’entusiasmo rischiano di prenderti e portarti velocemente lontano per i primi chilometri ma poi per tornare verso casa rischi di dover chiamare qualcuno.

Allora meglio per la ripresa rimanere nei paraggi e immergersi completamente nel proprio territorio per esplorarlo pedalando.

Non che non conoscessi già Zappolino, quante volte l’ho fatto negli anni, per un periodo l’avevo così inflazionato che quando ci arrivavo cercavo di evitarlo. Ma evitarlo è impossibile e Strava mi dice che da quando l’ho installata l’ho già fatto, sommando i due versanti, più di 100 volte.

Zappolino è famoso per due motivi in Italia e nel mondo, uno antico, ormai dimenticato, una piccola scaramuccia avvenuta nel 1325 tra modenesi e bolognesi, dove a sorpresa i modenesi ebbero la meglio sui più quotati bolognesi. Nell’esultare questa inaspettata vittoria, che comunque condannò alla retrocessione in serie b il Modena, che rivedrà la serie A per un paio di stagioni solo nei primi anni 2000, i ghibellini Modenesi invasero Bologna esaltando la loro inferiorità, rubando un secchio in un pozzo, che portarono sotto la Ghirlandina e che costudiscono ancora gelosamente nel palazzo comunale chiamandolo La Secchia rapita.

Ma questa ormai è storia antica e ininfluente sulla gestione della regione, e soprattutto sulla supremazia bolognese nei secoli, il vero episodio per cui Zappolino è famoso nel mondo è la grande vittoria di Mario Cipollini al campionato Italiano del 1996 sul Circuito Tricolore di Monteveglio, con la scalata di Zappolino dalla Bersaglieria a far da unico ostacolo.

Ostacolo che ReLeone superò agilmente arrivando a disputare una vittoria a ranghi compatti che lo vide vincere rispettando tutti i pronostici. Sarà quello il suo unico titolo italiano e sarà quel campionato italiano il primo GranPremio Beghelli, arrivato in questi anni duemila ad essere ormai una classica di fine stagione.

E allora quale miglior giro da fare, come primo giro partendo dalla nuova casa in cima al colle di Zappolino, dopo un mese di stop, se non il Circuito Tricolore?

Otto volte Zappolino, quattro da un versante, ristoro alla baracchina di Savigno e quattro dall’altro versante.

Manca poco alle 8 quando scendo verso la Bersaglieria cominciando il primo giro in senso inverso al vero GranPremio Beghelli, il sole è appannato da un velo di umidità e l’aria pizzica sotto guanti e copriscarpe. Sono giorni da Corona Virus e scuole chiuse, il traffico è ancora assente, passo Monteveglio, giro sul ponte del Samoggia e svolto nuovamente verso Savigno costeggiando il fiume affluente del Reno. Due ciuchini mi guardano poco prima del ponte Rosso, scorrazzano nel parco della villa, liberi, tranquilli e spensierati. Il vento spira da nord a sud, mi spinge a salire verso Fagnano mi respinge a scendere verso Monteveglio. Il sole ogni tanto fa capolino e le querce verso Fagnano disegnano le loro ombre sui campi spogli.

Salgo le quattro ascese verso Zappolino con tranquillità, è solo un chilometro, non troppo impegnativo ma più lo percorro più sembra pendere. Il primo passaggio lo affronto agilissimo, il secondo piano di potenza, il terzo lo faccio senza pensare, il quarto lo affronto a tutta, tristemente ma con orgoglio ci metto tutto il pochissimo che ho nelle gambe. Il tornante lungo subito dopo il mulino sembra spianare, ma in realtà si impenna leggermente e ogni volta l’entusiasmo della pedalata scema mentre il respiro  si fa più affannoso. Guardo tutte e quattro le volte la scritta 2000 impressa su un ‘albero all’ingresso di una proprietà privata. Sono passati venti anni e l’albero piano piano la sta coprendo. Al quarto passaggio forse ho le allucinazioni, mi sembra che rispetto a due ore prima sia ancor più ridotta.

Arrivo al bivio per la quarta volta, questa volta invece che prendere la destra svolto a sinistra, direzione Savigno, scendo e risalgo subito, il palazzo di Cuzzano troneggia nel verde. I signori di Cuzzano erano ghibellini e aiutarono i modenesi a passare Zappolino e a dirigersi verso Bologna, le lotte tra il palazzo di Cuzzano e il Castello di Zappolino sono nella storia, vicini di casa che mal si sopportavano e senza amministratore.

A Savigno il paese è vivo, percorro i sanpietrini del centro e mi fermo a fare bancomat, risalgo in bici e mi fermo poco dopo all’uscita della piazza, alla baracchina.

Punto al salato e poi passo una veloce sbirciata al dolce, l’oste se ne accorge e mi rimprovera.

Cosa fai guardi le tigelle e poi le paste?

Gli do ragione, e prendo una prosciutto e formaggio e una coca piccola. I chilometri sono ormai 60 e un bel ristoro ci sta, mi leggo la provincia di Bologna sul Carlino e riparto, vento in faccia, verso Tintoria. Poco prima dello strappo di Ponzano svolto a destra verso Mongiorgio, che non scalo, perché all’inizio della salita svolto nuovamente, questa volta a sinistra, su quella stradina che fiancheggia il Samoggia, e che nelle piene autunalli aveva fatta sua, la pedalo agile, affronto il suo strappo carogna allegro ma non esuberante, e arrivo in poco tempo a Fagnano.

Sono di nuovo sul circuito Tricolore, nel senso del Gran Premio Beghelli, questa è la parte in discesa e di discesa ha ben poco, basti pensare che spesso da qui parte la fuga decisiva che regala la vittoria a chi ama scommettere contro le volate.

La Pieve di Fagnano si innalza di poco dalla strada sui ciliegi, gran parte spogli, un paio in fiore, il 29 Febbraio, e ci si preoccupa del Corona Virus.

Pedalo e sudo, la tigella ha salvato il salvabile, la coca non poteva far di più, avanzo verso il primo Zappolino conscio delle fatiche successive. Ma la prima scalata mi da fiducia, incontro diversi compari amatori, mi metto a ruota e capisco che devo decidere in fretta, seguire il più forte o salvarmi con il più lento.

È in questi casi che emerge tutta la vera fatica del ciclista, la testa dice vai, scattagli in faccia e bastonalo, le gambe dicono fermati, stai a ruota e se possibile staccati.

Rimango italiano democristiano, sto a metà volendo stare da tutte le parti. Verso la fine la tentazione di raggiungere il primo è enorme, ne avrei la gamba. Ne avrei per prenderlo e volatilizzarmi, ma non lo faccio, non mi volto ma sento il suo compagno ansimare poco distante da me, allora stacco la sinistra dal manubrio, prendo il cellulare, apro la custodia e scatto una foto davanti a me. Praticamente mi fermo, anche se in realtà per inquadrare meglio quello davanti a me, scatto, cioè aumento l’andatura, quello dietro pensa sia volata e in cima mi supera.

A Zappolino due di Castelfranco Emilia, provincia di Modena, mi battono in volata, la storia si ripete, maledetti Ghibellini.

Loro proseguono verso Savigno, io scendo verso Fagnano, sta per finire il primo giro e tutto sommato, nonostante la volata persa sono contento. Se ogni scalata avrà queste sfide forse la motivazione nasconderà la stanchezza.

Infatti per le altre tre volte non incontrerò più nessuno. Almeno in salita.

Incontro il grande Massimo Tommasi scendendo verso Stiore la terza volta, la sua pedalata è inconfondibile, mi supera in un momento di piccola sosta idraulica, risalgo in bici, scatto e senza poca fatica lo riprendo. È da tanto che non ci vediamo e chiacchieriamo allegramente, allungo leggermente portandolo verso la Beghelli e scoprendo quale grande giocatore di Baseball era. Ventisette anni sul diamante non sono uno scherzo, per di più vissuti da ricevitore e prima base. Le ginocchia martoriate lo hanno portato in bicicletta e a conoscerci ai tempi di Malini.

Ritorno sul percorso dopo questa piccola e piacevole deviazione che mi è servita soprattutto a distrarmi un pochino. Quasi la fatica non la sento, alla rotonda di Monteveglio mi immagino in gara e mi verrebbe da sprintare verso la linea di arrivo del Beghelli all’altezza del semaforo. Un arrivo particolare che tende a salire leggermente ma che ti lancia con una piccola contropendenza all’uscita della rotonda.

Mi trattengo e proseguo, arrivo alla Bersaglieria e salgo Zappolino pedalando lentamente, il pensiero di un altro giro mi rallenta ulteriormente, mi butto verso Fagnano e vedo i ragazzi giocare a calcio, mio figlio tira in porta, la palla si alza a venti metri da terra e vola nel centro sociale. Per fortuna gioca a Baseball.

Ultimo giro con molta fatica e le gambe che mordono, arrivo alla Bersaglieria e comincio a salire, piano piano, ammiro i calanchi verso Castelletto con la cornice di nuvole e il sole ad illuminarmi, arrivo in cima svolto a sinistra e salgo verso la chiesa. È uno strappo deciso fino al bivio per Cà Isotta, poi diventa cattivo negli ultimi centocinquanta metri ad arrivare alla chiesa. Mi arrampico veramente, mi sembra di avere picozza e scarponi, mi faccio forza con tutto il corpo e finalmente arrivo sul piazzale della chiesa. Scendo e appoggio la bici al campanile. Segna le undici ma sono già le 12:30, le campane suonano precise, mi volto e ammiro il panorama, da una parte Fagnano dall’altra Castello di Serravalle.

Seduto sui gradini della Chiesa guardo il Garmin, segna centoventi chilometri e 1200 metri di dislivello, dopo un mese forzato di stop sono soddisfatto. Mi alzo e guardo la chiesa, inforco la bicicletta e comincio a scendere.

E pensare che al posto della chiesa c’era un castello, che guardava quello di Serravalle e quello di Oliveto, che colline stupende dovevano essere in antichità e nonostante le nostre modernità quanto sono ancora belle.

Ma una domanda mentre salgo in casa mi tormenta.

Ma come cavolo abbiamo fatto a perdere contro i Modenesi?

È perché con tutto quello che potevano rubare portarono via solo un secchio?

Mah…..

 

 

SHARE

Lascia un commento

Please enter your comment!
Please enter your name here