Piacevole sorpresa questo film diretto da Kasi Lemmons (La baia di Eva), che vede l’attrice, Cynthia Erivo, candidata agli Oscar come migliore protagonista femminile.

HARRIET è la storia vera di Harriet Tubman, nata Araminta Ross, ma da tutti conosciuta come Minty.

Schiava dalla nascita, Minty vive e lavora nella tenuta dei Brodess, in Maryland.

Stanca dei soprusi e delle torture psicologiche di Gideon, figlio del suo schiavista e impossibilitata a vivere una vita da donna e moglie libera, Minty decide di tentare la fuga per guadagnarsi la libertà o morire nel tentativo.

Guidata dalla Stella Polare e dalle visioni che improvvisamente la colgono e la mettono in guardia sui pericoli imminenti e le minacce da affrontare, Minty riesce, non senza difficoltà e fatiche, a raggiungere Philadelphia, dove viene soccorsa dalla Underground Railroad, organizzazione abolizionista che si occupa della fuga degli schiavi al nord.

Scampata al peggio e preso il nome di Harriet Tubman, da donna libera, la nostra deciderà di aiutare l’organizzazione nella fuga dei suoi fratelli ancora costretti nelle piantagioni del Maryland e, con coraggio compirà più e più volte la strada da lei stessa percorsa, donando la libertà a tante altre persone e diventando, negli anni, la spina nel fianco degli schiavisti ed un vero e proprio esempio di eroismo e determinazione per l’abolizione della schiavitù.

Passato praticamente in sordina e non ancora giunta nelle nostre sale, la pellicola è una bella storia per chiunque volesse conoscere una figura d rilievo della storia americana, certamente ignorata da tantissimi, almeno in Italia.

La vera Harriet

 

HARRIET ha il pregio di una grande recitazione da parte della Erivo (che però non vincerà la statuetta, già praticamente nelle grinfie della Zellweger) e di tutti i comprimari, che danno volto ai suoi amici, alla famiglia e al cinismo degli schiavisti degli stati del sud.

Sorprendentemente, il film alterna momenti drammatici a scene di vera e propria azione, nel quale la tensione risulta quasi palpabile.

Andando a spulciare in rete la storia vera, nel tempo la Tubman ha liberato oltre 750 schiavi ed è divenuta una spia per l’Unione, durante la Guerra di Secessione.

Negli anni successivi, ha anche lottato per il suffragio femminile, insomma una vera e propria donna con due palle immense.

Coraggio e tenacia, ma anche tanta sofferenza e comunque una dolcezza e una generosità d’animo non indifferente, che conquistano lo spettatore e lo incitano a fare il tifo per lei.

Interessante risulta anche l’aspetto delle sue visioni, che lei reputa divine (dovute a una violenza domestica, che le provocò una grave frattura del cranio ed una seria emorragia cerebrale, dalla quale si riprese per miracolo) e che non risultano assolutamente forzate né ridicole, ma anzi accrescono l’aura di leggenda della Mosé degli schiavi (così venne soprannominata dal giornalista abolizionista William Lloyd Garrison).

Dal punto di vista tecnico, il film può vantare una buona fotografia, con colori caldi e luminosi (fantastica la scena dell’alba, che sancisce anche la nuova vita di Minty) e azzeccata anche la predilezione per un simil bianco e nero (e azzurro) nei momenti delle visioni premonitrici.

Bellissime anche le canzoni cantate dalla stessa protagonista, che si diffondono tra le piantagioni e conducono i fratelli verso la strada per la libertà, prima fra tutte la fantastica Stand Up, anch’essa candidata agli Oscar.

La regia di Lemmons è buona, anche se talvolta può risultare un po’ troppo concentrata per far andare bene il compito in classe, tralasciando parzialmente il comparto emotivo e quindi abbandonando rischiosamente anche l’anima della storia e il cuore battente del pubblico, ma nel complesso ci si appassiona veramente alla storia della Tubman, specie pensando al fatto che sia tutto accaduto realmente e tutto ciò che la donna ha dovuto passare (e come lei tantissimi schiavi) prima di poter abbracciare il sacrosanto diritto di vivere una vita senza padroni né catene.

Odiosissimo (e per questo ben rappresentato) il personaggio di Bigger Long, interpretato da Omar Dorsey, che già avevamo visto in Django Unchained: nel ruolo di un segugio umano senza scrupoli che tradisce i propri fratelli e conduce in trappola i fuggiaschi, risulta ancora più disgustoso del già cattivissimo e freddo Gideon Brodess, che perseguiterà la protagonista per diversi anni, nel tentativo di catturarla nuovamente e ricondurla alla schiavitù e al suo divertimento personale.

HARRIET è sicuramente un film meno pomposo e meno acclamato sull’argomento, rispetto ai pur bellissimi Hamistad e 12 Anni Schiavo, ma è una storia che merita comunque una visione attenta e partecipe, se non altro per un originale punto di vista al femminile, che raramente viene (purtroppo!) trattato in tematiche di questo genere e che invece dimostra di essere assolutamente appassionante e ancora purtroppo attuale, non soltanto per il tema della disuguaglianza e del razzismo, ma anche per la violenza sulla donna.

 

Foto da internet

 

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