CINEMA: Recensione di “Paterno” di Barry Levinson

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Recensione di Fabrizio Carollo

È opportuno fare una piccola precisazione per questa recensione: Paterno non è una pellicola cinematografica, ma un film per la TV, diretto da quel mostro di bravura di Barry Levinson (Sesso e potere, Sleepers, The Bay…vi dicono nulla?).

Tuttavia, la storia ha suscitato davvero un grande interesse.

Il film ripercorre la reale vicenda del capo allenatore di football Joe Paterno, coinvolto nello scandalo sessuale che vide protagonista l’università Penn State nel 2011, con le accuse di abusi su minori da parte di Jerry Sandusky, un vice allenatore in pensione, collaboratore proprio di Paterno.

Le indagini porteranno all’incriminazione di alcuni dei personaggi più importanti del campus e le accuse di complicità cadranno anche sul capo allenatore, accusato di aver taciuto la verità sugli atti di pedofilia di Sandusky e averlo coperto per anni, pur essendo a conoscenza dei fatti.

Paterno non è un film semplice e non solo per il delicato e coraggioso tema che affronta: soltanto seguendo con attenzione la vicenda, ci si potrà fare un’idea sulla figura palesemente ambigua di JoePa, che ebbe il merito di risollevare, grazie al football americano, le sorti di un’università di provincia, quintuplicando la sua dotazione finanziaria riuscendo così, tra le altre cose, a costruire l’enorme biblioteca che prese il suo nome. Un filantropo e un esempio di umanità e generosità, improvvisamente catapultato in un orribile vortice di vergognosa perversione.

Estraneo ai fatti o realmente complice delle nefandezze di Sandusky? Pur propendendo maggiormente per la seconda ipotesi, Levinson è bravo a conservare il dubbio nello spettatore fino alla fine, tanto che è praticamente impossibile non provare empatia e un briciolo di tenerezza per un uomo ultraottantenne che vede la propria fama e la propria vita sgretolarsi inesorabilmente, cancellando tutto quello che aveva costruito in passato.

Paterno è un brillante film di denuncia, che non si sorregge solamente sull’immensa recitazione di un Al Pacino in stato di grazia (sempre doppiato dal maestro Giannini), ma anche sullo spessore del cast di supporto (è fantastico vedere come persino la moglie e gli stessi figli arrivino a dubitare dell’integrità morale di un padre che è stato un grande esempio e che pensavano di conoscere perfettamente), così come colpisce la recitazione della giovanissima Riley Keough (It comes at night, La truffa dei Logan), nei panni di Sara Ganim, la vera giornalista del Patriot News che indagò sulla vicenda per mesi, raccogliendo prove e testimonianze e arrivando a vincere il premio Pulitzer per il suo reportage.

Accolto in maniera molto positiva dalla critica, Paterno ha ricevuto però diverse proteste da parte di tanti ex giocatori di football allenati proprio dal grande JoePa, arrabbiati per come sia stato rappresentato l’ex allenatore della Penn State sullo schermo, ribadendo come il suo eventuale ruolo in un insabbiamento nello scandalo Sandusky non sia mai stato effettivamente dimostrato, anche perché Paterno morì di cancro ai polmoni appena due mesi dalle prime accuse, dopo che i dirigenti universitari lo costrinsero a dimettersi una settimana dopo la sua ultima vittoria (la 409° di seguito) contro la squadra dell’Illinois.

Pacino presta ancora una volta la sua immensa recitazione per la televisione HBO (dopo l’altrettanto bellissimo titolo You don’t know Jack), facendo rivivere un personaggio scomodo per il quale non si dovrebbe provare altro che repulsione, eppure donandogli quell’umanità fatta di primi piani, espressioni e dettagli che solo un gigante come lui avrebbe potuto fare, nonostante le ormai settantanove primavere sulle spalle.

Fotografia asciutta e forse anche troppo puntigliosa, anche se adatta al genere, completano questa bella storia di cronaca e la colonna sonora di Evgueni Galperine e Sacha Galperine, pur di stampo prettamente televisivo e senza troppo mordente, non guastano il clima generale, accompagnando con sufficiente efficacia anche le scene più importanti.

Un film da vedere in silenzio sia da soli, ma anche in compagnia, allo scopo di riflettere e discutere, ma soprattutto per continuare a parlare di taluni aspetti brutali della società odierna, che spesso riescono a nascondersi dietro una lucente facciata di perbenismo, in grado di mascherare anche il fetore che si nasconde dietro ad essa.

 

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