Montagna da salvare – parte prima

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Ho letto e meditato su di un servizio giornalistico dopo il confronto pubblico a Lizzano di domenica 4 Dicembre. Si parla di: lavoro, turismo e infrastrutture . Tutti argomenti aventi una loro validità, teorica. Partiamo dal lavoro, oggi a gestire robot, sistemi informatizzati, macchinari controllati da computer se non si seguono determinati iter scolastici ad elevato livello, se non universitario, non ci si può illudere di avere una chance per entrare in determinati settori produttivi. Sto parlando per esperienza vissuta. Negli anni 60 a gestire il macchinario di allora vi erano ottimi operai con la quinta elementare o poco più; oggi il controllo dei macchinari del 3° millennio è nelle mani di ingegneri o aventi titoli equiparati. Quindi dell’istruzione non se ne parla ? D’altronde non ho mai sentito alcun amministratore della zona in oggetto alzare la voce e chiedere un abboccamento con l’Ateneo di Bologna o altri istituti al fine di sistemare nell’Alta Valle del Reno un Dipartimento adeguato alle necessità della popolazione e del futuro dei giovani. E’ noto che la parola “Istruzione” è un termine di difficile digestione. Questa è una delle ragioni, se non la principale, della fuga dei giovani dall’Appennino. Mi meraviglia che nessuno dei convenuti non ne abbia fatto cenno.

Turismo. Un altro argomento trattato, a mio avviso, molto di sfuggita. Penso che, in generale, non ci sia accorti di come sia cambiata la società negli ultimi 60 anni, quasi tre generazioni. Negli anni 50-60 , con la motorizzazione di massa ed il desiderio delle classi subalterne di potersi recare in zone sino allora appannaggio dei benestanti, era sufficiente una seggiovia, un menù con i cibi dell’immaginario collettivo dei secoli passati ed un ambiente boscoso per avere un flusso turistico elevatissimo. Si aggiunga, dal 1953, la possibilità di poter sciare, attività riservata ai “signori” che si potevano recare sulle Alpi, per creare un richiamo irresistibile verso queste zone. Mettiamoci anche le antiche Terme di Porretta, dove i “signori” venivano a curarsi con le acque ed avevamo una specie di Paese di Bengodi del turista. 3 mesi e mezzo d’estate con mamme e figli in villeggiatura e 5 mesi invernali con neve a volontà e con l’aggiunta di aziende, normalmente metalmeccaniche, e il futuro non poteva apparire più roseo di così. Le cose iniziarono ad incrinarsi, per il periodo estivo, da metà anni 70 . Le donne iniziarono ad entrare massicciamente nel mondo del lavoro, le esigenze famigliari erano, intanto, aumentate in maniera esponenziale ed un solo stipendio non bastava più a coprire le spese. Qualche albergo iniziò a chiudere i battenti. Lo sci era un notevole motore trainante e così le terme di Porretta . Negli anni 80 vi fu una fase di stallo, il periodo estivo giunse alla contrazione fisiologica di circa 30 giorni o poco più, lo sci iniziò la fase discendente sia come appeal sociale che come attrattiva. Il 1989 fu l’inverno senza neve, la Crisi Climatica evidenziata da vari ricercatori e, sino ad allora, trattata come fanfaluca, iniziò a far vedere il suo volto. Il mondo artigianale ed industriale garantiva una certa occupazione, in calo, però. Con gli anni 90 le Terme entrarono progressivamente in crisi, il turismo estivo era fermo ai canonici 30 giorni o poco più, quello invernale iniziava una fase discendente di cui, ancor oggi, non si vede la fine. Cosa non si fece in quegli anni, come d’altronde non si fa tutt’oggi ? Esaminare i cambiamenti sociali, confrontarli con le possibili offerte del territorio ed adeguarsi a questi mutamenti irreversibili. Ci si è cullati nell’illusione che la crisi del turismo invernale fosse legata al numero di impianti a fune esistenti senza neppur consultare centri di ricerca anche a livello universitario che certificavano che tale calo aveva ben altre origini che non la presenza di numerose seggiovie, e non è stata neppure presa in considerazione la Crisi Climatica ed i suoi effetti. A parte l’inverno 2021-22 con una sostanziosa nevicata ma con il Covid 19 a fare da freno, gli ultimi 12 anni, mi limito a questo breve periodo, sono stati più gli anni con precipitazioni nevose tra 0 e pochi decimetri che quelli con misure più congrue agli sport invernali, a conti fatti questi si riducono ad un paio. Inoltre, anche solo osservando altre zone ben più modeste per l’industria turistica, le quali, invece, avevano saputo adeguarsi a questi mutamenti sfruttando il loro patrimonio storico. Con il trascorrere del tempo, tra l’altro, le persone che avevano una conoscenza del patrimonio storico e culturale della zona, sono venute a mancare. Sono rimaste le loro pubblicazioni che, credo, nessuno legga. Non aver capito che la società di oggi è molto più articolata che nel passato ed è assai attratta dal percorrere tragitti storici, visitare luoghi di culto, frequentare siti con emergenze naturali, geologiche e botaniche con relativa fauna e manifestazioni culturali. Questi patrimoni, anche se molti in stato di semi abbandono, vi sono, basterebbe impegnarsi a conservarli e valorizzarli. Ci si è mai chiesto del proliferare di vie dedicate a emergenze storiche, a personaggi della cultura ed altro con il fiorire di B&B, ristoranti e luoghi di intrattenimento? So di parlare ad un muro, ma il turismo di oggi è, in gran parte, fatto così. A mio avviso la montagna dovrebbe essere salvata partendo dalla conoscenza del suo patrimonio e sua valorizzazione, salvo che non si intenda il suo salvataggio nello stile delle aziende di stato dove si immettono capitali, si fanno opere discutibili se non scriteriate e poi ? E poi si marcia dritti verso il fallimento.

Ultimo argomento : le infrastrutture. Partiamo dai collegamenti via Internet con ampie zone ove non è possibile collegarsi, però con le seconde case. Certo è attrattivo pensare di vivere in una casa moderna però con collegamenti del tempo dell’uomo di Neanderthal. Il ritardo su questo argomento è di circa 35 anni. A spizzichi e bocconi si sono collegate varie zone, ma l’operazione in toto mi sembra ancora lontana. Anni fa fu fatta l’esperienza della telemedicina cancellata in sede Regionale con discutibili giustificazioni e così siamo ancora in alto mare. Gli anziani o gli ammalati possono aspettare. Ovvio che se in famiglia vi sono persone anziane o di salute cagionevole è meglio dirottare le proprie ferie altrove o dove sia possibile un servizio sanitario più allineato ai tempi. Non parliamo di avere una signora in avanzato stato di gravidanza, meglio orientarsi verso altri lidi. Si è parlato della sistemazione sia della SS 64 Porrettana sia della relativa ferrovia. Andiamo per ordine. Per i disagi sulla SS 64, noti da tempo, si è dovuto attendere non meno di 30 anni per risolvere il tappo del passaggio a livello di Riola ed un collegamento decente tra Carbona e Silla. Se tanto mi da tanto posso arguire che unire Carbona a Casalecchio di Reno richiederà altrettanto tempo se non di più, visto che vi sono opposizioni campanilistiche a modificare il tracciato di detta Strada Statale. Il raddoppio ferroviario potrebbe essere un certo miglioramento del servizio, potrebbe. Non so quanti anni o decenni si richiedano per tale opera, di certo non sarà una cosa che verrà eseguita in tempi brevi, ma di certo piuttosto lunghi.

Concludo dicendo che la scaletta degli investimenti, a mio avviso, dovrebbe essere la seguente : Istruzione, con ricadute sul mondo del lavoro; valorizzazione del patrimonio storico, culturale e ambientale con vantaggi nell’ambito turistico, mantenimento dell’opportunità sciatoria, tassello di una articolata offerta turistica, evitando, se possibile, di non mettersi nel ridicolo pubblicando immagini del Corno alle Scale vecchie di parecchi decenni con cumuli di neve incredibili e, con lo sfondo, occupato dalla visione della sciovia alta del Corno, inesistente da parecchi decenni, come possiamo vedere nella immagine di apertura del servizio di Webcam Corno alle Scale. Ricordiamoci che queste gaffe, assieme alla pubblicità di chilometriche piste, oggi intransitabili se non eccezionalmente ogni tot anni, non danno una bella immagine della gestione della struttura turistica invernale della zona.  Dulcis in fundo, stante le difficoltà, l’investimento infrastrutturale. Questa è una moneta a doppia faccia. Se non si risolvono i nodi fondamentali, a mio avviso, della Istruzione con le sue ricadute nel comparto del lavoro e di un turismo da 3° millennio, si rischia di agevolare la fuga dalla montagna sia per chi decide di adeguare i propri studi alle richieste del mercato e sia di chi riesce a trovare una occupazione in aree con maggiori opportunità.

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